Arezzo, 1° aprile 2012 - Non è riuscito nell’impresa di salvare la vita di un giovane padre di famiglia, ma il suo comportamento è stato ugualmente da eroe. Si chiama Sandro Bartolini questo medico di 57 anni, in servizio alla centrale operativa 118 di Arezzo, postazione di Sansepolcro, protagonista di un gesto di raro coraggio. E’ stato lui a calarsi nel precipizio dov’era finito Andrea Bartolomei, boscaiolo di 34 anni, colpito in pieno dalla quercia che stava abbattendo insieme allo zio. Sentiamo il racconto di Bartolini.
«La chiamata al 118 — spiega — è arrivata alle 9,38, sono subito partito con i soccorritori della Croce Rossa, ma non era facile raggiungere il luogo dell’incidente». Non era facile no: siamo in comune di Monterchi, al confine tra Toscana e Umbria, in una località che si chiama Tarsignano. Bartolomei e lo zio l’avevano raggiunta con un trattore, con il quale, attraverso un cavo d’acciaio e un verricelo, avevano ancorato il tronco da tagliare.
Ancora Bartolini: «Una zona impervia, nel fitto del bosco. Abbiamo lasciato l’ambulanza su una strada sterrata dove ci stava aspettando, sconvolto, lo zio della vittima. Da lì, con lui che ci guidava, un difficile percorso di circa un chilometro e mezzo nel bosco, prima di arrivare sul posto. Il piano è molto stretto e finisce in un burrone di una quarantina di metri, lì in fondo scorre il torrente Padonchia».
Il giovane era precipitato, insieme alla quercia, nel mezzo del dirupo, «e il recupero — racconta ancora il dottore — era davvero problematico. Il corpo era sotto il tronco, ma non incastrato. Era bocconi, non c’erano più segni di vita, almeno in apparenza». A quel punto, la scelta di coraggio: «Ci siamo legati in qualche modo e abbiamo fatto una cordata tenendoci abbracciati, in questo modo ho raggiunto il ragazzo e ho purtroppo constatato che non c’era più nulla fare».
Ma occorreva tirarlo su, «ed è stata la parte più dura, rischiosissima. Senza appoggio mi dovevo tenere con le mani all’albero, puntando allo stesso tempo le ginocchia sulla barella spinale dove il ragazzo andava adagiato. In basso c’era un burrone di alcune decine di metri, un movimento falso e saremmo tutti precipitati».
Con pazienza la manovra riesce: «Finalmente abbiamo sistemato il giovane sulla barella e lo abbiamo legato con il cosiddetto ’ragno’. Quindi, a poco a poco, lo abbiamo trascinato sul piano, dove ci stava aspettando lo zio che non riusciva a trattenere le lacrime».
Questione di pochi minuti, e arrivano anche i vigili del fuoco: «Ci hanno aiutato a trasportare il ragazzo in una strada più in alto, per il definitivo trasferimento. Il resto è stata routine: la partenza verso l’ospedale di Sansepolcro, le dichiarazioni sui fatti, la tristezza per quanto era accaduto. Cosa mi è rimasto più impresso? A parte l’amarezza per non aver salvato il padre di due bambini piccoli, non dimenticherò mai la disperazione dello zio. Era senza parole, ci ha raccontato piangendo la difficoltà nell’allertare i soccorsi. D’altra parte quella è una zona poco coperta, fra tutti i telefonini che avevamo, funzionava soltanto il mio personale, nemmeno quello di servizio».
«E’ l'intervento di soccorso più rischioso che ho mai fatto nella mia carriera di medico, ma lo rifarei anche subito. Ho però il rammarico grande di non aver potuto salvare una vita preziosa». Né sarebbe stato possibile altrimenti, vista la dinamica dell’episodio, causato probabilmente dalla rottura del cavo d’acciaio che fissava la quercia al trattore con cui Andrea e lo zio erano arrivati a Tarsignano.
L’improvviso cedimento potrebbe aver provocato la caduta dell’albero proprio nella direzione in cui si trovava Bartolomei senza dare scampo al boscaiolo, molto conosciuto in Valtiberina dove perché effettuava lavori anche per conto della comunità montana umbra.
di Sergio Rossi
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