Arezzo, 10 giugno 2014 - Commercializzavano carne di bovino infetta eludendo i controlli sanitari che la davano per sana. E' il nocciolo dell'operazione condotta dai carabinieri del comando per la tutela della salute, che stanno eseguendo 78 decreti di perquisizione e sequestro, emessi dalla Procura della Repubblica di Perugia,
nell'ambito dell'indagine denominata 'Lio', condotta dai Nas di Perugia: al centro proprio l'illecita commercializzazione di bovini infetti, con marchi auricolari contraffatti e dichiarati falsamente di razza pregiata, al fine di trarne indebiti profitti. Tante le province interessate, tra cui proprio Arezzo.

L'esecuzione dei provvedimenti dell'autorita' giudiziaria sono il risultato di una complessa indagine che sin dal 2011 ha visto impegnati i Carabinieri del Nas di Perugia coordinati dalla Procura umbra. La prima fase dell'indagine ha portato alla scoperta di un traffico illecito di bovini colpiti da malattie infettive alcune trasmissibili all'uomo. Gli animali, nati in aziende dell'Italia meridionale e insulare, venivano avviati alla macellazione grazie all'intermediazione di due aziende, una perugina e una aretina, nonche' di allevatori e medici veterinari che riuscivano a far eludere i controlli sanitari facendo apparire sani i bovini.

Ed ecco il meccanismo più aretino. Vitelli e vitelloni arrivavano da fuori, quasi sempre dal sud, e qui, nel cortonese, diventavano bestie di razza purissima. Che come tali venivano inviate alla destinazione finale di Perugia e di là al macello. A coprire il traffico ci sarebbe stato persino un veterinario della Usl 8 che lavora in zona Valdichiana e che si è beccato un’accusa di associazione a delinquere. Finalizzata «a una serie indeterminata di reati di contraffazione di sostanze alimentari, commercio di sostanza alimentari nocive e falsi».

Il filone aretino faceva capo ai fratelli Piselli. In sostanza, i bovini venivano rastrellati al sud. Provvedeva poi un autotrasportatore romano, Fabio Darini, a trasferirli nella stalla di transito di Cortona di cui è titolare Alberto Camorri. Qui, sempre secondo l’ipotesi dei Nas e della procura di Perugia, che come sempre è tutta da verificare nel prosieguo dell’inchiesta e nell’eventuale processo, vitelli e vitelloni cambiavano storia. Non più bestie di chissà quale origine, spesso malati, ma bovini allevati in loco, sprizzanti una salute attestata dalle certificazioni. Alle quali avrebbe provveduto, «con compiacenti attestazioni», come recita il testo dell’atto giudiziario, il dottor Romano Faldi, 55 anni, uno dei veterinari della Usl nella zona.

Fonti ufficiose vicine al servizio veterinario dell’azienda sanitaria aretina davano a fine mattinata una versione più limitativa. Sarebbe successo cioè, in un solo caso risalente al 2013, che da Perugia venisse segnalato un bovino cui era stata scoperta una forma di brucellosi al momento della macellazione. Era allora scattato il sequestro della stalla, ma anche il ruolo del dottore cui si dovevano i controlli non aveva dato adito a particolari dubbi. Perchè, spiegano sempre le stesse fonti, siamo in presenza di quella che in gergo si chiama una stalla di transito, dove i controlli sono limitati allo stato apparente di salute degli animali di passaggio. In realtà, lo scenario delineato dai Nas e dalla procura di Perugia è assai più complesso e peggiore. Il resto si vedrà man mano che le indagini vanno avanti. 

Nella seconda fase delle indagini i militari hanno ricostruito la vasta organizzazione criminale in cui erano a vario titolo coinvolti 56 allevatori, 3 autotrasportatori e 6 medici veterinari. Sono in corso sequestri di allevamenti di bovini vivi per un valore stimato di circa 2 milioni di euro.