Arezzo, 25 aprile 2016 - In paese sono duemila, compresi i centenari e i bambini: ieri stavano larghi. Perché duecento erano qui: 150 su tre pullman e una cinquantina arrivati autonomamente in macchina. San Donato Val di Comino si è svuotato per il Giubileo ad Arezzo. «Siamo partiti alle 4 – racconta uno dei pellegrini – non potevamo fare tardi». Tardi all’evento che da oggi forse diventerà triennale. Un incontro periodico ad Arezzo dei comuni gemellati nel nome di San Donato. E magari la prossima volta, chissà, ci sarà anche il sole. Ieri la pioggia non ha dato tregua. Il Vescovo Fontana ha tentato fino all’ultimo di celebrare la Messa sul sagrato ma uno scroscio imperioso ha lavato via ogni dubbio, lasciandosi alle spalle le sedie gialle che riempivano via Ricasoli.
E così tutti in Cattedrale: poco più di mille, meno di quanti non se ne aspettasse. O semplicemente sono mancati un po’ gli aretini, che nei loro appuntamenti sacri sono tradizionalisti. Però Cattedrale piena e strapiena anche la cappella della Madonna del Conforto. Don Alvaro Bardelli, il parroco, teneva tanto a questo evento del quale è stato l’anima da consentire quello che non ha mai permesso in vita sua, un maxischermo (beh, diciamo medio...) davanti all’altare della protettrice di Arezzo. Patrono e protettore in uno sguardo solo: panche piene, ovviamente. Di là il Cardinale Beniamino Stella: che nel nome di San Donato ha anche dato una scrollata robusta ai sacerdoti presenti lì in massa. «O siamo pastori o non siamo: chi coltiva il rapporto con Cristo evita il rischio di trasformarsi in un semplice funzionario o in un mestierante della vita pastorale». La chiesa del Papa è lì, nelle parole sussurrate di questo Cardinale magro e pallido, prefetto della congregazione del clero. L’appello a cercare i fedeli dove sono, a non distinguere tra i vicini e i lontani, l’apertura di misericordia agli immigrati. Una scossa, delicata ma ficcante dall’altare della Cattedrale. Intanto davanti si ricompone il clima della Madonna del Conforto: i confessionali pieni, il Vangelo cantato dal diacono Federico Daveri, le autorità al gran completo. Il sindaco Ghinelli aveva accolto i colleghi in piazza Grande e poi li ha ricevuti nella sala del consiglio. Uno, Aldo Olivo, ha anche letto la prima lettura, una lettera di Pietro. Un’altra è la presidente delle città di San Donato. «Dobbiamo mantenere il collegamento di questa bella giornata» esclama. Si chiama Silvana Serrano, viene da Montesano Salentino. «Siamo partiti da Lecce a mezzanotte, dieci ore di pullman». In un altro periodo avrebbero preso una stanza, ora la crisi ti lascia solo la devozione. «Siamo sereni» esclama il cardinale, ma solo i politici in prima fila sorridono, ripensando alle venature di quell’appello. Anche il pranzo rinuncia al Prato e si rifugia nei tendoni fatti montare dal Vescovo nei giardini dietro la Curia. Primo, porchetta, torta della nonna, frutta. La Filarmonica Guido Monaco, che avrebbe dovuto suonare sul sagrato, si esibisce sotto i tendoni. Intona l’inno nazionale, tra le fasce tricolori dei sindaci un po’ sgualcite dal viaggio e i cestini ormai vuoti. Tutti in piedi, perfino un po’ commossi, sorta di alfieri dell’Italia di San Donato.