MATTEO MASSI
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La cultura in salotto

Il commento

Matteo Massi

Firenze, 28 ottobre 2016 - C’era anche il professore in studio. Gian Luigi Beccaria da Torino era il giudice-arbitro di «Parola mia». Se la televisione ha avuto davvero un ruolo pedagogico – come continuano a sostenere i tomi universitari di «Teorie e tecniche del linguaggio radiotelevisivo» – lo si deve a personaggi come Luciano Rispoli. Rispoli venne dopo il maestro Manzi, quello di «Non è mai troppo tardi», ma il suo ruolo fu tutt’altro che secondario. «Parola mia», il suo programma (un quiz sulla lingua italiana), che negli anni ottanta andava in onda sulla tv di Stato, è riuscito quanto meno a segnare una generazione. Quella che, subito dopo pranzo, si metteva a fare i compiti col televisore acceso e s’imbatteva nella trasmissione di Rispoli. Quella stessa generazione che, dati Ocse alla mano, risulta essere più preparata e colta di quella che si ritrova oggi sui banchi di scuola. Un programma che è andato oltre il tubo catodico, perché «Parola mia» è diventato anche un gioco da tavolo con cui ci si sfidava tra amici, con l’imprimatur dello stesso Rispoli. Adesso sembra davvero di parlare di ere geologiche fa. Eppure, sono passati soltanto un paio di decenni.

Certamente l’effetto nostalgia nel giorno in cui Luciano Rispoli se ne è andato, rischia di prendere il sopravvento nella discussione. Ma in realtà quella televisione lì ha avuto un ruolo di formazione non indifferente in un Paese in cui il tasso di analfabetismo, quanto meno funzionale, non è mai stato un dato da sottovalutare. Non è riuscita a impedire che il pomeriggio televisivo diventasse un’arena devota al sensazionalismo e allo scontro meglio se urlato, ma ha comunque cristallizzato un modello che torna spesso nelle discussioni sulla tv e sul servizio pubblico che vorremmo. Anche se poi nei fatti rimane soltanto un discorso tra l’effimero e il disincantato. E che rischia di annegare in fretta nel luogo comune. Proprio come una delle frasi più citate di Nanni Moretti: «Le merendine di quand’ero bambino non torneranno più». Ma l’assenza di una televisione educata – i modi garbati di Rispoli erano così proverbiali da spingere i suoi imitatori a rappresentarlo in un contrappasso comico, sempre arrabbiato e «slinguacciato» – e alla fine anche educante continua a rimanere assordante.