Firenze, 7 novembre 2011 - Tramontata la pista del clochard, l’indagine si concentra sui moventi, ovvero i grandi temi, interni ed esterni alla Chiesa fiorentina, che possono avere scatenato l’agguato di venerdì sera nei confronti di monsignor Giuseppe Betori, culminato nel ferimento del suo segretario particolare, don Paolo Brogi, raggiunto da un proiettile all’addome. Per restringere il campo, gli inquirenti stanno percorrendo a ritroso gli avvenimenti che hanno coinvolto, anche indirettamente, la figura dell’arcivescovo.
Dagli impegni di quel giorno (Betori aveva partecipato a un convegno antiabortista) fino al caso don Cantini, il prete rimosso dalla parrocchia della Regina della Pace e oggetto di un’indagine della procura per pedofilia archiviata dal gip, complice, scrisse, «l’inerzia e assordante silenzio della Chiesa». L’uomo che attendeva fuori dalla porta carraia dell’ingresso secondario del palazzo della Curia, affacciato su piazza dell’Olio, «voleva parlare con me», ha detto Betori. Ma alla fine ha solo farfugliato frasi rimaste a metà, sospese in quel minuto e 15 secondi di durata dell’aggressione. «Non devi dire che..., non devi fare...», ha pronunciato quella persona «mai vista prima», sicuramente italiana, cappello in testa e barba incolta, avvolta in un giubbotto nero e armata di una pistola calibro 7,65, caricata con proiettili datati e mal conservati. A cosa si riferiva l’aggressore? E’ la domanda che potrebbe sciogliere il giallo o quanto meno indirizzare gli inquirenti in un contesto più definito rispetto all’oceano di scandali e incomprensioni che hanno caratterizzato gli ultimi anni della Chiesa fiorentina. Ieri sono stati incrociati gli orari delle telefonate arrivate quella sera al Pronto Soccorso. Alle 19,32 arriva la chiamata al 118. Una suora grida: «Mandate un’ambulanza, hanno sparato alsegretario del vescovo». «Sparato?». «Sì sparato».
Non è stata un’incursione improvvisata, ma studiata da una persona che conosceva bene non solo l’agenda di Betori, ma perfino certi dettagli del palazzo arcivescovile. Dopo avere scandagliato a vuoto il mondo dei senza fissa dimora, gli investigatori hanno anche controllato quei soggetti che, negli ultimi tempi, erano finiti nel mirino della Digos per dissidi o comportamenti minacciosi all’indirizzo dei vertici ecclesiastici. In tutto, sono una quindicina, e ognuno ha fornito un alibi che ha portato le forze dell’ordine a escluderne il coinvolgimento. Ora si ripongono speranze nello screening sulle pistole semiautomatiche registrate non solo nella provincia di Firenze, e compatibili con il bossolo rinvenuto. Ma l’attentatore potrebbe non essere stato così sprovveduto da cercare di ammazzare l’arcivescovo con un’arma facilmente riconducibile a lui. E allora si continua a lavorare anche sulle immagini delle telecamere presenti (almeno 40) in questo angolo di Firenze. A tale scopo, gli investigatori lanciano un appello a tutti coloro che possono aver visto qualcosa.
Anche ieri sono tornati da don Brogi, tuttora ricoverato in prognosi riservata. Le sue condizioni non destano preoccupazione, tuttavia, su consiglio dei medici, gli inquirenti hanno fatto slittare nuovamente la deposizione. Con l’ausilio di don Brogi, la polizia intende mettere a punto anche un identikit più dettagliato del ricercato.
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