Perugia, 30 settembre 2012 - L’ispettore della polizia penitenziaria del carcere perugino di Capanne, Raffaele Argirò, ex vicecomandante del Reparto, è accusato di violenza sessuale con l’aggravante di aver agito su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale e di concussione nei confronti di una vigilessa di Milano, arrestata ma poi scarcerata e assolta.
I fatti al centro dell’inchiesta svolta dalla polizia della sezione di polizia giudiziaria di Perugia — coordinati dal pubblico ministero Massimo Casucci — sarebbero avvenuti nella sezione femminile della Casa circondariale tra dicembre 2006 e gennaio 2007.
A denunciare Argirò è stata la stessa vittima degli abusi dopo il «caso-Amanda Knox». «Quando ho letto il nome di Argirò quale autore delle molestie in danno di Amanda ho pensato che era arrivato il momento giusto per riferire quanto accadutomi... Ho il desiderio che una persona che approfitta di situazioni di soggezione psicologica non possa farlo più».
Nel corso delle indagini la polizia ha sentito come persone informate dei fatti anche le agenti della sezione femminile: alcune avrebbero confermato delle continue visite di Argirò nel braccio e di essersi allontanate per qualche minuto. L’ispettore, da qualche mese in pensione, è difeso dall’avvocato Daniela Paccoi.

LA STORIA 

STUPRATA. Nel chiuso di una cella. Nel buio della sofferenza psicologica che le aveva divorato il fisico fino a farla pesare 44 chili, imbottita di psicofarmaci. Aveva l’anima e i polsi in catene. E la preoccupazione di una figlia piccola che l’aspettava al di là delle sbarre. Un processo pendente per tentato omicidio dal quale sarebbe uscita innocente. E libera di tornare a fare l’agente di polizia municipale a Milano.


CELLA numero undici del braccio femminile del carcere di Capanne: è il triste palcoscenico di tanto orrore. Quella in fondo al corridoio. Un angolo cieco agli occhi delle telecamere di vigilanza.
E un uomo, una ‘guardia’ pronto — stando all’accusa — ad approfittare delle catene per soddisfare i suoi istinti sessuali. Lo squallore di quanto sarebbe accaduto tra il dicembre 2006 e il gennaio successivo nei pochi metri quadrati del bugigattolo di una prigione è nel racconto minuzioso che la vigilessa ha fatto agli agenti della sezione di polizia giudiziaria di Perugia. Trovando il coraggio e la forza di denunciare l’ispettore Raffaele Argirò, all’epoca vice comandante del Reparto. Solo nel «dopo-Amanda» perché «non possa più farlo nel futuro».
 

«SEMBRAVA assatanato ed era violento, sperai che finisse subito... promise di tornarmi a trovare e si disse felice di avermi aiutata a non pensare ad altro. Mi abbassò i pantaloni della tuta nera, si sbottonò la cerniera dei pantaloni e senza nemmeno abbassarli mi penetrò. Non sarei riuscita neanche a farlo smettere, era più forte di me ed io mi sentivo debole e floscia. Poco prima di finire l’atto arretrò e il suo liquido seminale finì sul pavimento. Velocemente tirò su la cerniera dei pantaloni e uscì dalla cella, ma prima di andare via si accertò che io pulissi per terra ciò che aveva lasciato. Mi disse che sceglieva le persone più pulite e che certo non sarebbe mai andato con tossiche o altro».


Ma il calvario dura un mese: circa venti abusi. «Un giorno mi trovò a piangere, ormai era normale che venisse da me per avere rapporti sessuali — è ancora il verbale della donna —. Quella volta si interessò al motivo del mio stato d’animo e siccome non avevo più notizie di mia figlia di sette anni mi promise di mettersi in contatto con i servizi sociali, poi mi accarezzò sessualmente e mi chiese di praticargli un rapporto orale e di non pensare più alla mia bambina che tanto ci avrebbe pensato lui... Io ero stanca e schifata, passai dieci minuti a sciacquarmi dal liquido di quell’animale. Ormai veniva a trovarmi quasi tutte le volte che era di turno. Non avevo la forza mentale e fisica di respingere quelle avances. Chi mi avrebbe mai creduto? E se rifiutavo come si sarebbe comportato con me? Continuava a ripetermi che era nelle condizioni di parlare con il pubblico ministero».

 

ACCUSE SUI TABLOID INGLESI, AMANDA KNOX: "ERA FISSATO COL SESSO"

IL VICECAPO del carcere di Capanne, Raffaele Argirò, era finito sulla graticola dei tabloid inglesi poche ore dopo l’assoluzione di Amanda Knox (nella foto) nell’ottobre 2011. «Era fissato col sesso e voleva sapere con chi avesse avuto rapporti la giovane americana e cosa le piacesse fare sotto le lenzuola», aveva scritto il quotidiano «Sun» riportando stralci dei diari della detenuta più famosa del mondo. «Di notte mi convocava al terzo piano — è il racconto di Amanda — in un ufficio vuoto, per una chiacchierata. Quando gli ripetevo che dell’omicidio di Meredith Kercher non ne sapevo nulla cercava di parlarmi di lei o di portarmi verso l’argomento sesso». Ma «probabilmente voleva sapere con chi ero andata a letto per dare alla polizia i nomi di altri sospetti». Quelle «provocazioni» avevano «sorpreso» e «scandalizzato» la studentessa di Seattle, sempre scortata in tribunale per le udienze dal poliziotto, in pensione dopo aver indossato per circa 30 anni la divisa. Anche durante l’ultimo viaggio nel cellulare della polizia penitenziaria, l’infinita notte del 3 ottobre quando i giudici d’appello liberarono l’americana detenuta a Capanne dal 6 novembre 2007. Eppure i legali di Amanda spiegarono che Foxy Knoxy non si era mai lamentata del comportamento dell’ispettore e che con loro non aveva mai fatto il suo nome. Lo stesso Argirò aveva smentito categoricamente le accuse, valutando possibili azioni legali. «Fece una sorta di indagine interna per raccogliere elementi utili all’inchiesta — aveva spiegato il suo avvocato Daniela Paccoi —. Ma nega colloqui che possano avere infastidito Amanda».