Firenze, 5 febbraio 2013 - GENTILE DIRETTORE, ho letto giorni fa di un sindaco leghista che ha negato la cittadinanza a un operaio marocchino, in Italia da 21 anni, che non è stato in grado di pronunciare la formula di rito: «Non sono mai andato a scuola», avrebbe detto. Allora mi chiedo: ma con che criterio si concede la cittadinanza nel nostro Paese? Cosa serve più di una permanenza così lunga per avere il riconoscimento? Il signor sindaco leghista non poteva dargli una mano o chiudere un occhio? Non credo che così l’Italia faccia una bella figura.
A. Camilli- Firenze
CARO Camilli, certo, buttato giù così, l’episodio suona parecchio male. Con uno della Lega come protagonista, poi, scatta in molti il sospetto di razzismo. Cercherei però di ragionare con calma e rifacendomi ai fatti. Quando il sindaco ha sottoposto al «candidato» le poche righe di giuramento, questo ha ammesso di non saper leggere. Al quel punto il primo cittadino, dopo essersi consultato con il responsabile prefettizio per l’immigrazione, ha concesso sei mesi di tempo al marocchino per imparare a leggere l’italiano rinviandolo ad una nuova cerimonia in estate. Insomma, non l’hanno bocciato, ma solo rimandato. E, mi consenta, con una qualche ragione. Se uno vive in un Paese straniero e vuole legittimamente averne la cittadinanza, dovrà sapere almeno leggere un documento, fare una firma, riconoscere un cartello segnaletico o un candidato alle elezioni. Insomma, non mi sembra discriminatorio chiedere che si sappia qualche parola di italiano per essere italiani. Che conoscere la nostra lingua non sia un optional, ma un requisito obbligatorio.
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