Livorno, 7 aprile 2018 - «Se sarà necessario per dimostrare la mia totale estraneità a questa storia, andrò fino alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo». A parlare è Fausta Bonino, l’infermiera professionale di Piombino accusata di aver provocato volontariamente tramite iniezioni endovena di dosi massicce di anticoagulante la morte di 14 pazienti nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Piombino, decessi avvenuti negli anni 2014 e 2015. L’hanno chiamata ‘angelo della morte’, ‘serial killer’.
E da quasi tre anni con la sua famiglia vive da ‘indiziata’, in un limbo che è quasi inferno. Coi giorni che non passano mai, in attesa che almeno l’indagine si chiuda. E si arrivi ad un primo punto fermo. Invece è già passato oltre un mese dall’incidente probatorio sulle salme riesumate di otto pazienti e sulle cartelle cliniche degli altri che erano stati cremati.Ed ora è il legale della difesa, l’avvocato Cesarina Barghini, a dare una svolta alla vicenda, chiedendo l’avocazione alla Procura generale della Corte d’appello di Firenze. «Il termine massimo per la chiusura delle indagini è scandito dal codice ed è due anni – dice il legale – , mentre il mese prossimo l’inchiesta ‘Killer in corsia approderà ai tre anni. Anche partendo dall’iscrizione formale del nome nel registro degli indagati nel dicembre del 2015, l’indagine doveva chiudersi a dicembre 2017». L’avvocato Cesarina Barghini ha chiesto l’avocazione alla Procura generale della corte di appello di Firenze, ma lo ha fatto dopo aver sollecitato il procuratore capo di Livorno Ettore Squillace Greco ad interrompere l’empasse e dopo aver informato il giudice delle indagini preliminari.
«Questa mossa – spiega l’avvocato– era l’unico rimedio previsto dal codice in caso di inerzia. Ora aspettettiamo che il magistrato assuma le proprie determinazioni sostituendosi al pm di Livorno come previsto dall’articolo 412 del codice di procedura penale. Questa scelta difensiva, inconsueta nella fisiologia processuale, è stato assolutamente necessaria, perché Fausta Bonino ha il sacrosanto diritto di dimostrare la propria innocenza, se ancora non bastasse a dimostrarla quanto è emerso fino a questo momento. Dopo due anni e mezzo di calvario, dopo aver perso il lavoro che amava più di se stessa, dopo aver messo a dura prova l’armonia della famiglia, gravata non solo dall’infamia, ma anche da spese ingenti, Fausta subisce l’ulteriore grave pregiudizio: la sua vita è appesa all’incertezza del pubblico ministero. Lo stesso pm che due anni fa, era il 30 marzo del 2016, era così certo della sua colpevolezza da farla arrestare in modo plateale all’aeroporto di Pisa (dove non era in fuga, stava rientrando da una vacanza di Pasqua trascorsa con la famiglia a Parigi) con uno spiegamento di forze come fosse il peggiore dei criminali. Avrebbe cambiato qualcosa attenderla sotto casa? Questo stallo non è più accettabile»