Pisa, 30 maggio 2017 - Succede anche questo in un sistema, quello giudiziario italiano, a volte incomprensibile, dove i fermi per spaccio, ormai, si ripetono ogni giorno, salvo poi rimettere in libertà, subito dopo, gli arrestati; dove chi ha denunce per furto (è successo proprio a Pisa con i borseggi ai turisti), deve accumularne oltre dieci prima di finire in prigione; che a volte lascia fuori i colpevoli e incarcera gli innocenti. Ecco la storia iniziata negli anni ’90, conclusa ora con la piena libertà del condannato. Una pena scontata sì, ma per modo di dire. In vacanza all’estero. Poi, al termine, il rientro in patria.
Lui, il protagonista, condannato a 10 anni, ne ha passati 20 fuori dal nostro Paese e già questa potrebbe essere ritenuta una punizione, se non fosse per il contesto. Il sessantottenne pisano ha (finalmente) deciso di rientrare in Italia, e più precisamente a Fiumicino: proveniente da un’isola caraibica. Dal 1997 era ricercato dalla polizia italiana, dovendo scontare la pena di 10 anni per associazione mafiosa. Era stato condannato, dalla corte di assise d’appello di Firenze a seguito delle indagini che avevano portato alla luce le infiltrazioni mafiose in Versilia, dove aveva trovato terreno fertile un clan che, oltre alle estorsioni, gestiva le case da gioco clandestine.
È proprio nella gestione delle case da gioco che l’ex ricercato aveva il ruolo e coinvolgimento, emersi chiaramente negli atti del processo dove confluirono intercettazioni telefoniche, pedinamenti e irruzioni fatte dalla polizia di Lucca, Viareggio e Pisa. Indagini e due gradi di giudizio, poi la condanna. Ma di lui nessuna traccia. Nonostante le ricerche della squadra mobile di Pisa, in collaborazione con i colleghi che lavorano all’estero. Ora, dopo vent’anni, il latitante ha deciso di rientrare, ne ha il diritto. E nessun carico pendente: non essendo stata eseguita la pena, questa s’intende estinta. È un uomo libero e può stabilire il proprio domicilio nel luogo a lui più congeniale. Ovvero Pisa, da cui partì tanti anni fa. «Un evento rarissimo – commenta chi si occupa di questioni penali –. La prescrizione della pena. Succede quando la sentenza è definitiva, non c’è stata impugnazione e il condannato volontariamente si sottrae all’esecuzione».
Insomma, dal giorno nel quale è arrivata la sentenza definitiva, lui si è sottratto alla giustizia. Inutili i mandati di cattura internazionali. È passato il tempo X (quantificato nel doppio della pena che in questo caso era di 10 anni, quindi 20). E fine. «Non può essere mai inferiore a 10 anni e non è mai superiore a 30 – ricostruiscono gli esperti –. L’ergastolo, evidentemente, non si estingue». Caso chiuso. All’epoca il mafioso aveva 48 anni, adesso ne ha 68. Pena estinta, resta il reato. E anche la beffa.