Firenze, 7 febbraio 2009 - Ammar ha 30 anni, una moglie che se n’è andata a Roma, un figlioletto che non c’è mai stato (è morto prima di nascere), un passato vissuto come un incubo, un piccolo presente da eroe, un futuro minaccioso. Ammar è tutto qui. Una persona buona - a dispetto di quanto dice di lui il terminale del Viminale - che l’altra sera non ha esitato a gettarsi in Arno per salvare una donna che si voleva suicidare. L’ha salvata proprio: lei era già nei gorghi, presa dalla corrente di un fiume in piena e lui l’ha afferrata per due volte e portata a riva. Un grazie, una pacca sulla spalla, una stretta di mano da parte di qualcuno? Niente di tutto questo. Ammar ha ‘guadagnato’ solo un ‘invito’a presentarsi il 12 febbraio all’ufficio immigrazione per l’espulsione e una serata trascorsa alla polizia scientifica per le impronte digitali. E’ dura la vita dell’eroe se porti appiccicata addosso l’etichetta di ‘clandestino’. E’ come se le due parole ‘eroe’ e ‘clandestino’ abbiano il potere di annullare la prima e sottolineare la seconda.
L’altra sera Ammar era sotto il ponte da Verrazzano per aiutare degli amici che non parlano italiano; aveva portato del pane e stava cucinando per loro quando ha visto la donna che passeggiava nei giardinetti parlando al telefonino. Anzi, stava litigando: "Non ti voglio più vedere", stava urlando prima di chiudere la telefonata. "Dopo un minuto o due, racconta ancora Ammar, il cellulare ha squillato di nuovo e la donna ha urlato di nuovo ‘Tu non mi vedi più; e non mi troverai mai più’, quindi ha scagliato a terra il telefono e ha cominciato a correre verso il fiume fino a buttarsi in acqua".
La corrente la trasportava verso la città, così Ammar si è precipitato un po’ a valle cercando di intercettarla, si è proteso verso di lei e l’ha afferrata per lo zaino. Lei se l’è sfilato e diceva: "Lasciami morire. Non voglio più vivere questa vita. Questa vita di merda". Ammar non si è dato per vinto, è corso sull’argine e si è precipitato ancora un po’ più avanti continuando a guardare quel corpo sballottato dalle correnti. La donna sembrava ormai priva di sensi. Alla fine Ammar si è buttato di nuovo in acqua e, nuotando fino alla donna, è riuscito ad afferrarla per le spalle e trascinarla fino a riva. "Portarla su è stato molto difficile - ci racconta -, sembrava non respirasse più, l’ho dovuta trascinare per le spalle, afferrarla per il golf, ma alla fine ce l’ho fatta. Una volta al sicuro mi sono seduto accanto a lei, ho premuto per fare uscire l’acqua. Respirava, alla fine respirava. Dai miei amici ho fatto portare una coperta perché aveva freddo. Ho chiamato due volte il 118, ma non è venuto nessuno. E’ arrivata prima la polizia".
Agli agenti, Ammar ha consegnato lo zaino della donna con un portafogli pieno di soldi. Gli agenti hanno fatto intervenire l’ambulanza e la giovane suicida è stata portata in ospedale. E’ viva. Ammar l’ha vista andar via. A sirene spiegate. Per lui, invece, solo le sirene della volante che l’hanno portato alla scientifica a prendere le impronte, poi in questura per la notifica dell’ordine di presentarsi all’ufficio Immigrazione. E ieri Ammar ha ripreso la sua vita di eroe clandestino, solo, con lavoretti saltuari, a nero. In attesa di un provvedimento di espulsione.
Ha salvato una donna, ma questo sembra non importare. E’ possibile?
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