Firenze, 31 luglio 2010 - L'arrivo di Macchiarini mette subito in subbuglio i fragili equilibri fra il mondo universitario e quello ospedaliero che a Careggi coabitano, coesistono, ma stentano a trovare un cammino unitario. E’ così da sempre. Lobby di potere si sfidano sulla medicina d’eccellenza, la battaglia è dura: quasi una quotidiana lotta di sopravvivenza. Tra casi di mobbing e «dispettucci». Lo è di più negli ultimi tempi. Da quando i tagli all’Università hanno chiuso porte e spiragli ai nuovi arrivi. C’è fame di cattedre. Tra l’altro diciotto ricercatori vincitori di concorso non sono ancora stati assunti.

 

Quando il chirurgo toracico Paolo Macchiarini arriva, alla fine del 2008, con la benedizione del presidente della Regione Enrico Rossi, allora assessore regionale al diritto alla Salute, gli aspiranti alla cattedra di chirurgia toracica del pensionando Clemente Crisci, drizzano le antenne. Ma non solo loro. Annusano il «pericolo» che la poltrona di professore venga assegnata a Macchiarini per chiamata diretta, per motivi di chiara fama. E va a finire ben presto che Macchiarini nel giro di poco tempo diventa una presenza ingombrante, una minaccia. Rossi ha un ottimo rapporto con il preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università, il professor Gian Franco Gensini, insieme parlano del percorso migliore per inserire il talento Macchiarini all’interno dell’azienda ospedaliero-universitaria. Il chirurgo ha chiesto di poter creare una scuola di specializzazione.

 

«Un’aspirazione legittima che non può essere assecondata in tempi rapidi per molti motivi», spiega Gensini. Una commissione si riunisce per valutare il curriculum di Macchiarini. Fumata nera, per tre volte. Senza un risultato finale. Non è ancora trascorso un anno dal suo arrivo, ma di lui si è detto tutto e il contrario di tutto. C’è chi lo considera un mago del bisturi, un fenomeno che salva vite umane operando casi al limite rifiutati da tutti gli altri chirurghi, tra cui molti giovani condannati da terribili malattie. C’è anche però chi getta ombre sull’operato di Macchiarini. Si ipotizza che abbia falsificato il curriculum, che non sia vero che svolge l’attività di professore a Londra, che utilizza quel titolo a sproposito. Si tirano fuori i numeri: l’elevata casistica di morti giustificata dal fatto che interviene anche sui casi disperati. Un’esplosione di veleni a cui Macchiarini si ribella.

 

Era stato lontano dal mondo accademico italiano nella convinzione che le scelte «non si basassero sul merito». E ora sperimenta quella che lui sostiene essere «un’amara verità», direttamente sulla sua pelle. Ogni giorno è una guerra. E inizia a sgomitare. Macchiarini denuncia che non è possibile lavorare in «un ambiente ostile». «I malumori che si sono creati possono anche essere causa mia — spiega —, non sono una persona semplice. Ma bisogna capire che per lavorare al livello di eccellenza serve un’équipe coesa a tutti i livelli, serve massima concentrazione e attenzione a tutti i dettagli, un impegno di 24 ore al giorno, infrastrutture adeguate». Le richieste di Macchiarini vengono esaudite, l’ospedale gli dà quello di cui ha bisogno: l’équipe di 40 persone a sessione operatoria compie non il miracolo ma l’eccezionale risultato di salvare due giovani vite considerate al termine.

 

E la nomina a professore? «Le promesse non sono state mantenute e io, pur continuando il mio rapporto assistenziale con l’ospedale di Careggi, non posso rifiutare la cattedra che mi è stata offerta dalla prima università al mondo in campo medico, al Karolinska Insitutet». Macchiarini insiste sulla meritocrazia che non c’è, «lo dimostra il decreto Gelmini dove si esprime la necessità di realizzare un sistema di reclutamento e di progressione basato sul merito e sulla qualità della ricerca». L’Università ribadisce che le porte non sono state chiuse, ma che il percorso ha bisogno di tempo. Un tempo che per Macchiarini è già scaduto.