Firenze, 29 ottobre 2010 - SUL CASO di Casa Iris, la residenza terapeutico-riabilitativa per pazienti psichiatrici che da martedì entrerà in attività, interviene il direttore generale dell’Azienda sanitaria fiorentina Luigi Marroni. Spiega le motivazioni del contestato acquisto della supervilla a tre piani in una zona d’élite, costata all’Asl oltre tre milioni di euro all’inizio del 2009 (compresa la ristrutturazione). «Sicuramente un investimento e non certo uno spreco», dice il direttore, incassando per la scelta il plauso del Coordinamento delle associazioni fiorentine per la salute mentale (al quale hanno aderito 7 associazioni del territorio della Asl 10) che si è costituito nel 2010: «Casa Iris è qualcosa di assolutamente positivo ed è un vanto per la salute mentale dell’Azienda che l’ha voluto e difeso dagli egoismi di chi lo ostacolava», scrivono in un documento genitori e parenti dei pazienti. Ma chi lo ostacolava? La struttura è in via Garbasso, una strada privata, chiusa entro un cancello. La zona, sopra viale Volta, è una zona residenziale dell’alta borghesia. «I vicini quando hanno saputo che sarebbe sorta una struttura per pazienti psichiatrici hanno storto la bocca», spiega con indulgenza ma con un forte sentimento di rabbia Renzo Antonini del Coordinamento. Una brutta storia.
Direttore, con tutti gli edifici che l’azienda sanitaria ha a disposizione, era proprio necessario acquistarne un altro e spendere tre milioni di euro in un momento di ristrettezze economiche?
«Non siamo in possesso di edifici che avessero le caratteristiche necessarie».
Quali?
«Una serie di obblighi derivanti dalle leggi per ottenere l’accreditamento. Poi c’è da rispettare il vincolo della territorialità: se i pazienti sono stati per anni inseriti in una zona, non si può spostarli all’improvviso in un’altra. Inoltre gli appartamenti non possono essere ricavati nella zona di San Salvi perché sarebbe un po’ come riaprire il manicomio. Dobbiamo pensare che le tecnologie della salute mentale, oltre ai farmaci, sono le strutture dove le persone dovrebbero recuperare una certa autonomia: fare la spesa, rifarsi i letti, tenere in ordine casa, cucinare. Rientrare nella normalità della vita quotidiana. Questo è il risultato finale di anni di lavoro terapeutico e riabilitativo».
Quanti appartamenti ha l’Asl destinati a questo scopo?
«Tra Salute mentale e Servizio tossicodipendenze ne abbiamo più di 50».
Case in affitto o di proprietà?
«Molte sono in affitto. I pazienti che andranno ad abitare a Casa Iris provengono da tre strutture ormai fatiscenti che costavano all’Azienda 130mila euro all’anno. Riunendoli in un’unica struttura, risparmiamo, migliorando il servizio e ottimizzando l’offerta terapeutica».
Perché non avete fatto una gara d’appalto per la scelta della villa?
«Non c’è una normativa precisa che si esprime su come gli enti pubblici devono comportarsi per l’acquisto di un immobile. Per questo, data la necessità di una serie di caratteristiche, abbiamo preferito procedere a un’accurata indagine di mercato. Abbiamo selezionato 15 immobili, poi li abbimo valutati con psichiatri e operatori del settore. Alla fine quello di via Garbasso è risultato il migliore per caratteristiche e per il rapporto qualità-prezzo».
Avete incontrato resistenze da parte dei vicini di casa?
«Sempre quando si vanno a cercare strutture per pazienti psichiatrici ci sono grossissime difficoltà, soprattutto nei condomini».
Perché avete scartato l’ipotesi di liberare dagli occupanti l’ex Bice Cammeo di via Aldini, a due passi da via Garbasso?
«E’ una lunga storia. La struttura è frutto di una donazione di una nobildonna. Inizalmente era un ospedale psichiatrico poi dismesso. Venne occupato nel 1990, dopo qualche anno il Comune tentò uno sfratto che non ebbe buon esito. Poi nel 2002 l’edificio è passato di proprietà all’Asl. La questione dell’occupazione è stata a lungo dibattuta. C’è un progetto, ancora in piedi, per far sì che gli occupanti possano accedere a una legge regionale per l’auto-recupero. Ma questa è una cosa che non possiamo fare noi come Asl. La struttura dovrebbe ripassare al Comune, a quel punto la giunta potrà promuovere l’iniziativa in un quadro generale di riorganizzazione degli spazi immobiliari. In ogni caso si può capire che per andare all’ex Bice Cammeo ci sarebbero voluti molti anni, un tempo non compatibile con le necessità dei pazienti».
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