Firenze, 29 ottobre 2010 - E’ RITORNATO nella chiesa d’Ognissanti il Cristo di Giotto. Giotto si può definire, oltreché il fondatore della pittura moderna, come di lui scrive il Vasari: un teologo. Un uomo cioè che ha studiato i Vangeli alla luce della ragione e come storia sacra imperniata sul mistero di Gesù Cristo figlio di Dio. Sembrano queste parole scontate perché, da tanto tempo, se ne sente parlare. I fiorentini, come gli italiani, sono tutti cattolici o quasi. Perfino gli atei si pongono il problema del Cristo crocifisso.
Magari per dire che è stato un grande uomo che ha cambiato antropologicamente i valori del mondo facendo diventare la povertà ricchezza e la ricchezza povertà. Davanti al Cristo di Giotto nella chiesa d’Ognissanti uno rimane colpito dalla semplice e drammatica solennità del Cristo in Croce. Un uomo orribilmente inchiodato ma che appare avvolto in un’aurea di santità che viene fuori dal dipinto. Perfino il turchese della croce si stacca dal fondo oro tramutando il dramma della crocifissione, che non fu solo di Cristo, in un rapporto di straordinaria potenza tra terra e cielo. Il restauro effettuato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, oggi guidato da Isabella Lapi Ballerini, ha dimostrato ancora una volta il valore dei restauratori fiorentini che sono maestri operosi per tutti i restauratori del mondo. Un fatto di notevole importanza è il ritorno di quest’opera nella chiesa fiorentina di Ognissanti. Infatti, normalmente, le opere che rappresentano tappe significative della storia dell’arte e che hanno un valore inestimabile, vengono collocate nei musei.
Qualche volta sostituite, nei luoghi per cui erano state concepite, con delle copie. Giotto, come tutti i grandi artisti che hanno realizzato pitture con soggetti sacri, sapeva che uomini e donne, vecchi e bambini le avrebbero guardate e si sarebbero inginocchiati davanti ad esse come se fossero la prova diretta della presenza di Dio, del Cristo, della Madonna o dei Santi nella loro vita. Ecco perché è una formidabile notizia il ritorno del capolavoro dell’artista mugellano in una delle chiese più significative di Firenze e prospiciente l’Arno. Le chiese che sorgono vicino all’acqua sono particolarmente importanti perché nell’acqua è la rigenerazione dell’uomo e, nel cielo, la sua salvezza eterna.
Visto il risultato di questo restauro è nell’interesse dell’Italia e del mondo che l’Opificio delle Pietre Dure e gli altri centri di restauro dipendenti dal Ministero dei Beni Culturali vengano potenziati. Perché questo avvenga c’è bisogno di soldi per formare nuovi restauratori e per una efficace opera di conservazione del nostro patrimonio artistico. Bisogna ricordare che l’Italia possiede oltre il 70% dei Beni Culturali dell’intera umanità. E’ un nostro dovere tutelarli. Così facendo si otterrà un doppio risultato: aumentare la manodopera qualificata nel restauro e incrementare la valorizzazione delle opere d’arte nei piccoli e nei grandi centri della penisola. Quante sono le sculture, le pitture, i monumenti, i palazzi da restaurare e risanare? Migliaia e migliaia. Un lavoro immenso per centinaia e centinaia di nuovi studiosi e restauratori. Investire in questo settore è un bene strategico per la Repubblica Italiana. E’ un suo dovere verso il mondo e un suo dovere verso il proprio popolo. I nuovi posti di lavoro vengono fuori anche dagli scantinati dei musei e dal restauro ciclico di opere d’arte che non possono essere abbandonate all’usura del tempo.
Anche i capolavori dei grandissimi artisti come Giotto, Michelangelo, Raffaello, Tiziano e tanti altri, hanno bisogno di qualificatissime cure. Come è accaduto per il Giotto d’Ognissanti. Un esempio luminoso da non far spengere dalla ottusità di governanti, a tutti i livelli, incapaci di capire che l’arte e la poesia sono il motore della storia civile ed economica di ogni popolo.
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