Firenze, 28 settembre 2012 - Paolo Macchiarini, cervello in fuga, stavolta scappa dai taccuini e dalle telecamere che lo cercano. Per lui, abituato alle prime pagine per i miracoli del suo bisturi, sono un colpo duro, gli arresti domiciliari. Così come sono pietre indigeribili le accuse dei magistrati e quelle parole del gip, vergate in un’ordinanza che condensa un paio d’anni di indagini serrate, fatte di interrogatori, riscontri ed intercettazioni, condotte dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza: un chirurgo più attento al suo portafoglio che alla deontologia.
Mito che si sgretola o abbaglio giudiziario? A Careggi, dove la bomba è deflagrata all’ora di pranzo, mentre Macchiarini era per l’appunto in sala operatoria, l’azienda sanitaria non sposa né l’una né l’altra tesi. E ribadisce «piena fiducia nella magistratura e nel valore indiscusso del professionista Macchiarini accusato di fatti non attinenti alle sue attività di ricerca».
LA DIFESA A smontare le accuse, ci proveranno i legali del luminare, gli avvocati Rosario e Francesco Bevacqua. «Si tratta di fatti vecchi, del 2010 — spiegano — e le accuse si riferiscono solo a tentativi di reato. Questo provvedimento si poteva anche evitare». Invece, accogliendo le richieste del procuratore aggiunto Giuseppe Soresina, Macchiarini sconta adesso la misura nella sua casa di Viareggio. Una dozzina i capi d’imputazione. Si parte da un’ipotesi di tentata concussione. A un malato di tumore, già sottoposto a sei interventi, oltre alla chemio, Macchiarini suggerì un ulteriore intervento di svuotamento del collo «che avrebbe comportato una spesa di 130mila euro». Il chirurgo avrebbe inoltre detto al paziente che tale operazione sarebbe potuta essere fatta soltanto a Londra, «dove operavano gli specialisti otorinolaringoiatrici di sua fiducia», aggiungendo poi, «contrariamente al vero», che «non vi era possibilità che l’intervento, ritenuto urgente, venisse eseguito a breve nella struttura ospedaliera di Careggi».
LE INTERCETTAZIONI A sostegno della tesi dei magistrati, c’è un’intercettazione ambientale tra lui e la caposala del reparto di chirurgia toracica, A.C., anch’essa indagata e raggiunta da un’interdizione. «Se deve venire in Inghilterra tanto vale operarlo a Firenze», dice la caposala. Macchiarini la pensa diversamente: «Ma in Inghilterra posso chiedere molto di più». La caposala gli va dietro: «Allora in Inghiterra». Per il gip, la donna condivide con il chirurgo la «voracità», partecipando ad alcune delle tentate truffe che vengono oggi contestate a Macchiarini. Ad esempio, avrebbe anch’essa “convinto“ i pazienti sulla lunghezza delle liste d’attesa. In questo modo, il chirurgo avrebbe avuto terreno fertile, quando in realtà i tempi non erano mai quelli prospettati, ma molto, molto più brevi. E comunque, per legge, un paziente che aspetta verrà sempre prima di un’operazione in intramoenia . «E’ facile convincere un malato terminale a fare qualcosa per la sua vita», confessa un investigatore.
Non sempre però questo accadeva. O perché la famiglia non riusciva a mettere insieme i soldi, o perché decidevano di rivolgersi ad altri professionisti. O anche perché, purtroppo, la malattia s’aggravava e sopraggiungeva la morte. Come nel caso che ha dato il via all’intera inchiesta, quello di un paziente che Macchiarini avrebbe indirizzato ad un centro privato di Hannover: a quell’intervento, ritenuto necessario per togliere delle metastasi alla testa, il malato non ha fatto in tempo ad arrivare.
IL MALCOSTUME Dalle carte, però, emerge quantomeno un certo malcostume. Quello che mira a denigrare la sanità pubblica, al cospetto di quella privata, e ad agire come ha sottolineato il gip Moneti, «senza scrupoli», contro «persone rese particolarmente deboli dalla malattia, con l’angoscia di vedere la vita propria e dei propri congiunti in particolare pericolo».
IL FAVORE ALL’AMICO A Macchiarini è contestato anche il peculato: avrebbe trovato posto a Careggi per un amico spagnolo, presentato come un parente dell’ex allenatore del Barcellona Pep Guardiola (circostanza non riscontrata dagli inquirenti), curandolo in day hospital senza fargli spendere un soldo come invece sarebbe stato previsto in quanto sprovvisto della tessera europea assistenza malattie. Un danno anche per il sistema sanitario, a cui si aggiungono i versamenti dovuti dal chirurgo sugli introiti percepiti dalla sua attività in libera professione, oggetto anch’essi di indagine.
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