Firenze, 21 gennaio 2014 - «FISICAMENTE si poteva entrare e uscire dal Forteto senza problemi. Non era questo il problema, non c’erano catene a trattenere le persone. Ed era meglio se ci fossero state, perché le catene si poteva trovare il modo di romperle e liberarsi. Ma se le catene sono nella testa è molto più difficile spezzarle». Sergio Pietracito, presidente dell’associazione che riunisce le vittime del Forteto, torna per la seconda volta sul banco dei testimoni per deporre al processo contro il fondatore della comunità Rodolfo Fiesoli e 22 suoi pretoriani, imputati di abusi sessuali e maltrattamenti. La settimana scorsa uno dei grandi accusatori del «Profeta», prima fedelissimo e poi in fuga da lui, aveva risposto per sei ore alle domande dei pubblici ministeri Giuliano Giambartolomei e Ornella Galeotti.
IERI È STATA la volta del secondo round: quattro ore e mezzo, stavolta, prima a confronto con i legali di parte civile e poi con l’avvocato Lorenzo Zilletti, difensore dello stesso Fiesoli. E soprattutto con quest’ultimo il botta e risposta è stato al calor bianco, tanto da spingere il presidente del collegio giudicante Marco Bouchard a intervenire: «Bisogna rispettare il teste», ha detto a Zilletti. Il quale ha prontamente ribattuto: «E’ mio dovere verificare l’attendibilità del teste». Invece il confronto fra Pietracito e i legali di parte civile si è mosso sulla falsariga di quello con l’accusa: fra le tante cose, il testimone ha ricordato di come i bambini lavorassero nei campi con regolarità e di come il sindaco mugellano Zoli, per anni grande sostenitore di Fiesoli e della sua comunità, nell’ultima parte della sua vita sostenesse invece che «il Forteto era diventato come la fattoria degli animali descritta da Orwell».
LE DOMANDE dell’avvocato Zilletti hanno subito alzato i toni, lasciando emergere con chiarezza la linea difensiva: il complotto ai danni di Fiesoli da parte di un gruppo di fuoriusciti dal Forteto. A Pietracito è stato contestato lo stretto rapporto col Fiesoli («ma io non pensavo che dietro ai suoi atteggiamenti ci fossero quegli abusi»), e in particolare anche alcune lettere che lo stesso Pietracito scrisse al ‘Profeta’ nel corso della sua prima detenzione alla fine degli anni Settanti: «Non ricordavo di averle scritte — ha risposto a Zilletti che gli contestava di averle negate —, ma al quel tempo c’era un totale assoggettamento. Infatti quando lui era in carcere si stava meglio perché non si facevano i ‘chiarimenti’ ma nessuno in quei giorni è andato via dal Forteto. C’era un clima di esaltazione: noi dovevamo salvarlo». E infatti, ha ammesso Pietracito anche nella scorsa udienza, i pretoriani di Fiesoli mentirono spudoratamente alla magistratura per alleviarne la posizione.
MA PER il presidente dell’associazione delle vittime del Forteto la giornata di oggi rischia di essere ancora più dura: dovrà infatti rispondere alle domande non solo dell’altro legale di Fiesoli, l’avvocato Lucia Mininni, ma anche di tutti gli altri avvocati difensori dei ventidue imputati. Al presidente Bouchard il compito di tenere strette le redini di un dibattimento che rischia sempre di scivolare verso lati oscuri e maleodoranti.
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