Firenze, 17 giugno 2017 - Tenere crostacei vivi in frigorifero o sul ghiaccio è una condotta che provoca «gravi e sicure sofferenze» all’animale, e, per questo, va punita con una condanna per maltrattamento. Così la Cassazione spiega perché, nello scorso gennaio, ha reso definitiva la condanna di un ristoratore di Campi Bisenzio, a cui il tribunale di Firenze aveva inflitto un’ammenda di 5mila euro. Nel ristorante di cui era direttore, infatti, erano stato trovati crostacei vivi, in attesa di essere cucinati, in una cella frigorifera e con le chele legate, e secondo l’accusa «in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze».
LA SUPREMA Corte ha condiviso la conclusione del giudice del merito sottolineando che «negli ultimi anni diverse ricerche abbiano portato una parte della comunità scientifica a ritenere che i crostacei siano esseri senzienti in grado di provare dolore»: inoltre, animali di tale specie vivono «in acque a temperature alte», si sottolinea nella sentenza appena depositata, e nei ristoranti più importanti e supermercati della grande distribuzione sono «tenuti in acquari a temperatura e ossigenati». La «consuetudine sociale di cucinare i crostacei quando siano ancora vivi non esclude che le modalità di detenzione degli animali possano costituire maltrattamenti - rileva la Cassazione - perché, mentre la particolare modalità di cottura può essere considerata lecita proprio in forza del riconoscimento dell’uso comune, le sofferenze causate dalla detenzione degli animali in attesa di essere cucinati non possono essere parimenti giustificate in quanto soltanto nel primo caso l’interesse (umano) alla non-sofferenza dell’animale soccombe nel bilanciamento con altri interessi umani della piu’ varia natura e legittimati dalla presenza di leggi».
Al contrario, sottolineano i giudici di legittimità, «non può essere considerata come una consuetudine socialmente apprezzata quella di detenere siffatta specie di animali a temperature così rigide tali da provocare sicure sofferenze, posto che gli operatori economici generalmente usano sistemi più costosi nella detenzione di crostacei e quindi sistemi di tenuta più rispettosi degli animali». La Cassazione quindi conclude affermando che «al pari della tutela apprestata nei confronti degli animali di affezione, integra il reato ritenuto in sentenza la detenzione dei crostacei secondo modalità per loro produttive di gravi sofferenze e, per altro, adottate per ragioni di contenimento di spesa, con la conseguenza che, nel bilanciamento tra interesse economico e interesse (umano) alla non-sofferenza dell’animale, è quest’ultimo che, in tal caso, deve ritenersi prevalente e quindi penalmente tutelato».