Firenze, 23 novembre 2017 - Dodici per rievocare dettagli, approcci, parole, gesti. «Per rafforzare le accuse», come dirà al termine dell’udienza fiume uno dei legali delle ragazze; o contestarle, come hanno provato, in tutti i modi, gli avvocati dei carabinieri indagati. Interrogatori lunghi, estenuanti, nervosi, dentro i muri dell’aula bunker di Firenze – un cubo di cemento sorvegliato all’ingresso – assistite solo da una traduttrice e garantite dal giudice. Dall’altra parte di quel muro – viste senza potere a loro volta vedere –, il pm, Ornella Galeotti, i legali e solo uno dei due uomini che devono rispondere del reato di violenza sessuale aggravata dall’essere stata commessa da pubblico ufficiale in servizio. Il giorno più lungo delle due americane stuprate dai carabinieri in divisa, come recita la pesantissima accusa, è iniziato ieri poco dopo le 9 e si è concluso oltre le dieci di sera. Le hanno fatte entrare dall’ingresso laterale dell’aula bunker, quello che affaccia su via dell’Agnolo.
A Bordo di un pulmino nero coi vetri oscurati, blindate da un cordone fatto anche di poliziotti. T. E C., 21 e 19 anni, sono tornate a Firenze dopo due mesi e mezzo esatti dal presunto stupro sulle scale buie dell’appartamento che dividevano in borgo dei Santi Apostoli. Era il 7 settembre. Ieri, hanno affrontato non senza lacrime, l’interrogatorio per congelare ricordi che diverranno prove in sede di un eventuale processo. L’incidente probatorio è andato avanti fino a sera inoltrata. Le due ragazze sembravano ancora più giovani dei loro vent’anni scarsi in jeans, felpa, scarpe sportive. Struccate, capelli lunghi e sciolti, occhi velati dall’emozione. E forse dalla paura. Si sono ritrovate per condividere insieme, un’ultima volta ancora, una notte che difficilmente potranno dimenticare. Iniziata coi festeggiamenti al ‘Flò’ di piazzale Michelangelo e finita alle sei del mattino in ospedale, poi in procura, per una dettagliata denuncia: «Siamo state violentate da due carabinieri in divisa». Quei carabinieri, che saranno identificati poche ore più tardi, sono Pietro Costa e Marco Camuffo, rispettivamente 32 e 47 anni. Ieri, solo Costa era presente in aula, difeso dagli avvocati Giorgio Carta e Andrea Gallori. Che, sfilando dall’ingresso principale di via Paolieri, hanno subito promesso battaglia: «Abbiamo presentato 250 domande per ognuna delle studentesse». Promessa mantenuta. L’interrogatorio è stato lunghissimo, doloroso, spigoloso. Interrotto più volte dalle lacrime delle ragazze, e da un malore di una di loro. Reso difficoltoso dai registratori che s’inceppano e da un piglio battagliero dei legali dei carabinieri e dai ricordi a tratti annebbiati di quella notte. Vuoi lo choc, vuoi l’alcol che avevano entrambe bevuto in abbondanza: ne avevano in corpo due grammi per litro al momento in cui sono salite sulla gazzella, dice la perizia del pm.
Alla fine, l’accusa è soddisfatta. Ma le difese sperano nelle loro controindagini: «Nella memoria del telefonino c’è il numero di una delle ragazze», dice con tono di sfida l’avvocato Carta, per sostenere la tesi del consenso. E l’alcol che non poteva renderle consenzienti? «In casa ne avevano», dice ancora il legale, ipotizzando che T. e C. possano aver bevuto dopo i rapporti nell’androne. E le scuse già fatte dall’Arma? «Ma quali scuse, al massimo sono stati dei fessi a farle salire in macchina». Insomma, sarà un dibattimento aspro. Nel frattempo, però, un dolce abbraccio fra le due compagne, per salutarsi sul piazzale, al termine di una giornata sfiancante.