Firenze, 20 febbraio 2018 - Il distretto del cuoio sconvolto dallo scandalo riciclaggio di soldi sporchi della ’ndrangheta, concerie di S. Croce sull’Arno e Fucecchio in affari (‘consapevoli’ secondo le accuse) con l’imprenditoria ‘pulita’ che si combina alla mafia calabrese per spartirsi la torta Iva; essere più competiva sul mercato; guadagnare con le frodi fiscali; generare tesoretti pagati a tassi usurari, ma di pronto impiego per ‘nero’, investimenti straordinari e fare «concorrenza sleale» dicono gli investigatori.
E’ l’inquietante scenario tracciato e seguito per 3-4 anni dai carabinieri del reparto operativo e dal Gico della Finanza di Firenze coordinati dai sostituti Ettore Squillace Greco prima e Giuseppina Mione nella seconda fase dell’inchiesta denominata ‘Vello d’oro’. Ieri la clamorosa svolta: 14 arresti tra la Calabria e la Toscana (18 gli indagati) su ordine del giudice Paola Belsito: l’imprenditore Cosma Damiano Stellitano, 53 anni, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) domiciliato da anni a Sovigliana di Vinci (Firenze); il suo ragioniere Andrea Iavazzo, di Fucecchio, residente a Pistoia; gli altri imprenditori Maurizio Sabatini, di Santa Croce, Giovanni Lovisi, di Salerno, residente a Santa Croce e la figlia Lina Filomena Lovisi.
Ai domiciliari Alessandro Bertelli di Empoli e Filippo Bertelli di Fucecchio e Marco Lami di Santa Croce. Denunciati a piede libero i loro parenti Mario Lovisi residente a Castelfranco di Sotto (Pisa), Francesco Lovisi di Fucecchio, Nadia Carresi, 56, Santa Croce e Laura Bitossi di Empoli: secondo il giudice non è stata dimostrata a sufficienza la loro conoscenza e responsabilità sulla provenienza dei soldi. Disposto nei loro confronti il divieto d’esercitare impresa e/o uffici di persone giuridiche. Gli altri arrestati sono i calabresi Antonio Scimone, Giuseppe Nirta, Giuseppe Pulitanò, Ferdinando Rondò, Francesco Saverio Marando, tutti del Reggino. Loro primo referente, qui, Cosma Damiano Stellitano.
Telecomandata da menti raffinatissime, professionisti del diritto e della contabilità, la ’ndrangheta s’infiltra nell’economia reale; infiltrazione peraltro favorita, cercata anzi – ed è qui lo stupore degli inquirenti – da imprenditori che non sono con l’acqua alla gola. Il flusso delle presunte, false fatture generate dalle società ‘cartiere’ per operazioni inesistenti è orientato essenzialmente da Unipel, controllata dai calabresi, verso le società attive degli imprenditori toscani: Newport srl, Sottovuoto Lovisi srl, Lami Snc, Galileo Srl, Cromochin Spa, Gieffemme srl e Lami Marco & C. Spiegano il procuratore capo Giuseppe Creazzo e il colonnello della Finanza Adriano D’Elia: «L’obbiettivo è la torta dell’Iva. Le false fatturazioni servono a coprire il contante da riciclare: migliaia di euro prelevate dai calabresi da conti in Croazia e Slovenia e girati agli imprenditori toscani. In cambio i calabresi ricevono somme a tassi usurari e gli imprenditori del settore sono in condizione di fare frodi fiscali con le fatture false utilizzate nelle dichiarazioni. Recuperano il tasso usurario con l’Iva a credito sui falsi acquisti effettuati. Risparmio d’imposte e utili abbattuti danno altri proventi illeciti.
Giovanni Spano