Firenze, 11 giugno 2017 - SE DOVESSE capitarvi di sfogliare le pagine della Nazione che raccontano la cronaca fiorentina degli anni Ottanta, trovereste la città alle prese con gli stessi problemi che trent’anni dopo, cioè oggi, fanno imprecare, ogni mattina, tutti noi. Il traffico, i cantieri, l’inquinamento, le transenne, la necessità di cambiare abitudini per sopravvivere.
Che cosa abbiamo fatto, che ha fatto Firenze, in tutto questo tempo, per migliorarsi la vita? Qualche parcheggio strategico, il trasporto pubblico con le paline che parlano (ma intanto ci sono i bisonti dell’Ataf che passano ancora da via della Vigna e fanno tremare case e negozi). Evidentemente non basta. Si, vabbè, c’è la tramvia, ci sono le misteriose ‘talpe’ della tav, la manutenzione periodica della rete idrica, del gas, della luce: stanno lavorando per noi. Ci avevano avvertito, siamo armati di pazienza. Ma, vivaddio, quanta ce ne vuole di santa pazienza?
VEDETE, Firenze non è una città come le altre. All’interno della cerchia dei viali ci si dovrebbe muovere a piedi, in bicicletta e con il servizio pubblico. Basta un’auto parcheggiata in doppia fila per bloccare la circolazione per ore, perfino sui viali dove la carreggiata è piuttosto generosa. Per esempio mi sembra surreale la scelta di far girare il bus turistico a due piani in corso de’ Tintori o via Maggio, e non c’è business che tenga a giustificare tutto ciò. Così fan tutti? Ma non può farlo Firenze. Non è questa la dimensione europea che ci avvicina a Londra, Parigi o Madrid. Con l’immobile mentalità che abbiamo noi fiorentini, chissà che cosa saremmo oggi senza il coraggio dell’architetto Giuseppe Poggi, che per realizzare i viali e la rivoluzione di Firenze Capitale, dovette affrontare la diffidenza congenita dei suoi concittadini e anche un processo in cui l’accusarono di aver approfittato del suo ruolo pubblico per realizzare progetti personali. Fu riabilitato e ora dobbiamo ringraziarlo per aver creato la valvola di sfogo intorno al centro storico, centocinquanta anni fa. Forse fra un secolo anche i nostri pronipoti celebreranno come evento salvifico la realizzazione della tramvia.
OGGI però non sappiamo dove battere la testa per spostarci. Città invivibile? È dir poco. Careggi e piazza Dalmazia sono irraggiungibili; circolare nella zona di Rifredi fa diventare matti, non se ne esce; avventurarsi a Novoli è come iscriversi al camel trophy. Qui può anche finire la nostra analisi, che era piuttosto semplice. Il difficile arriva se ci domandiamo: che si fa? Anche allora, negli anni Ottanta e Novanta, le idee, le più bizzarre, spuntavano come funghi. Non ci siamo fatti mancare niente. Nemmeno il tapis roulant da piazza stazione a piazza Duomo o il divieto di stare fermi con il motore acceso per non inquinare (copyright Cioni). Finché qualcuno capì che si potevano modificare gli orari della città (scuole, uffici, negozi) per evitare che tutti, al mattino, partissero da casa nello stesso momento e si andassero a cacciare nel grande imbottigliamento. Bella intuizione, ma poi chi l’ha fatto veramente? Ovvio che abbiano perfino tentato di disciplinare lo scarico merci, senza penalizzare i commercianti. Per qualche settimana. Dopo è tornata l’anarchia.
E ORA le strade del centro, fra taxi e furgoncini, sembrano Calcutta nell’ora di punta. Dice: prendete la bicicletta. Peggio che andar di notte. Nonostante i tanti annunci trionfali, le piste ciclabili non esistono, sono un grande bluff. Anzi, le biciclette diventano una componente del degrado perché, senza rastrelliere dove parcheggiarle, le troviamo legate dove capita, anche ai cancelli che proteggono i monumenti. Scusate: questa non doveva essere una lamentazione, ma un contributo a uscire dal caos. Mi accorgo che non ci sono riuscito. Ma credo che la soluzione sia l’uovo di Colombo: non c’e bisogno di genialate per migliorare le cose. Basterebbe applicare una parte di quello che è stato annunciato negli ultimi trent’anni. Quanto dovremo aspettare prima che la situazione migliori, arrivi la tramvia e il trasporto pubblico funzioni così bene da convincere i fiorentini a lasciare a casa la macchina? Intanto domani si apre la settimana di Pitti. Che dire? Preghiamo. O andiamo a piedi.