Firenze, 3 ottobre 2017 - «VENITE a prenderci per favore, violentati dalla polizia, polizia macchina la casa». Inizia con queste parole, confuse, in un italiano stentato, pronunciate all’operatore del 113, il caso della violenza sessuale ai danni delle due studentesse americane da parte di due carabinieri in servizio. Sono le 3.48 del mattino dello scorso 7 settembre quando da borgo Santi Apostoli numero 16, parte questa telefonata. Le volanti della polizia giungono alle 4.06. Salgono al terzo piano del palazzo e trovano quattro ragazze: T., 20 anni, piange a dirotto. C., 19, è in stato di shock. Con loro altre due compagne, con cui dividono l’appartamento. Al momento dell’arrivo delle volanti, in casa è arrivata anche un’interprete, messa a disposizione dall’università americana frequentata dalle ragazze. E’ lei che agli agenti, descrive ciò che le hanno a sua volta raccontato: le due giovani studentesse sono state abusate da due poliziotti conosciuti nel locale Flò, dove hanno passato la serata. Le ragazze parlano di «poliziotti», le indagini chiariranno subito l’equivoco. Innanzitutto alla discoteca di piazzale Michelangelo c’è stato un intervento dell’Arma per un focolaio di rissa. E soprattutto una telecamera posta all’ingresso della via fuga ogni dubbio: si vede la Fiat Bravo del 112 infilare in borgo Santi Apostoli alle 3.14 ed uscire alle 3.32.
Le ragazze in procura La prima ad essere sentita è T. Il verbale si apre alle 18. La ragazza racconta di aver bevuto due bicchieri di vodka, mentre l’amica C. aveva «bevuto molto» (l’alcoltest a cui saranno sottoposte entrambe prima delle 7 del mattino, riscontra un tasso da sequestro di patente: 1,68 grammi per litro per T., 1,59 per C.). La ragazza riferisce di aver chiesto ad alcuni presenti un aiuto per chiamare un taxi per tornare a casa. Uno dei «numerosi poliziotti presenti» si offre di chiamare un taxi. Tuttavia, quando escono, la stessa persona dice che, con un collega, le avrebbe riportate a casa. La gazzella lascia il parcheggio del Flò alle 2.49. T. racconta che una volta scese, i due carabinieri («uno piuttosto giovane e con fisico atletico, l’altro sui 45-50 anni ed un po’ calvo») entrano anche loro nel palazzo. C. era entrata in ascensore con il conducente (si tratta del carabiniere scelto Pietro Costa, 32 anni), mentre T. sale a piedi. T. aveva notato che nell’ascensore, l’amica si stava baciando. A quel punto, il più anziano dei due (l’appuntato scelto Marco Camuffo, nato nel 1970) l’avrebbe spinta verso la finestra sul pianerottolo e le avrebbe abbassato i pantaloni. Terminato il rapporto, T. racconta di aver afferrato l’amica, nel frattempo uscita dall’ascensore, di essere entrata in casa e chiuso la porta. C. comincia il suo racconto alle 22.43. Ha descritto ciò che è accaduto in ascensore. Ha riferito anche di aver perso del sangue, circostanza che le era già accaduta in occasioni di rapporti intimi. C. non ha riconosciuto in foto il carabiniere che era con lei in ascensore, mentre ha riconosciuto l’altro.
La versione dei carabinieri A distanza di due giorni, arriva anche la versione del militare Marco Camuffo. Dice di essere andato al Flò per un intervento e di esser poi stato invitato dal titolare del locale a bere un caffè al bancone. Riferisce che si era avvicinate due ragazze che avevano chiesto aiuto per trovare un taxi per tornare a casa, ma dopo alcuni tentativi falliti di contattare il centralino, si erano offerti di portarle loro con l’auto di servizio. Il racconto di ciò che è avvenuto nel palazzo discosta in alcuni punti: Camuffo dice che la ragazza «si era abbassata i pantaloni». Al termine dell’atto, la ragazza gli ha chiesto il suo recapito telefonico, annotato da questa su whatsapp. L’appuntato ha detto anche le due ragazze «non sembravano ubriache». Il dodici settembre, tocca a Costa presentarsi dal pm Ornella Galeotti. Anche lui sostiene di non aver percepito che le due ragazze fossero ubriache («non ho sentito puzza di alcol», dice, ma un altro carabiniere sentito tra quelli intervenuti al Flò riferisce di almeno una ragazza «un po’ brilla» che aveva chiesto un taxi) ma dice anche di aver visto il collega «cercare di abbassare i pantaloni dell’altra ragazza». Riguardo al «suo» rapporto, riporta che C. lo aveva invitato ad entrare in casa ma l’altra ragazza aveva detto che non era possibile. A quel punto erano entrati nell’ascensore, si erano baciati, si erano trovati nudi ed avevano consumato un rapporto sessuale. Al termine «le due ragazze erano entrate in casa tranquillamente».