Firenze, 9 gennaio 2013 - Giovanni dalle Bande Nere morì per una setticemia, un'infezione gravissima: è stato così definitivamente risolto, da un'equipe dell'Università di Pisa, il mistero intorno alla morte del padre di Cosimo de' Medici, primo granduca di Toscana.

Dopo quasi cinque secoli, il giallo della morte del più celebre capitano di ventura del Rinascimento, al servizio del Papa, arriva a una svolta. Giovanni di Giovanni de' Medici (Forlì, 6 aprile 1498 - Mantova, 30 novembre 1526), detto dalle Bande Nere, non è stato ucciso dal maestro Abram, il chirurgo che lo operò per una ferita alla coscia prodotta da un colpo di artiglieria di piccolo calibro (falconetto) di circa 6-7 cm ''per compiacere gli imperiali'', come creduto da alcuni. Ma quel che le cronache dell'epoca riportano con certezza è l'attribuzione delle cause della morte a una cancrena che si manifestò dopo l'amputazione della gamba destra, in seguito al ferimento durante uno scontro armato a Governolo, vicino a Mantova, il 25 novembre 1526.

La scoperta è avvenuta grazie alla riesumazione della salma del condottiero effettuata dal paleopatologo Gino Fornaciari dell'Università di Pisa e dalla sua equipe di ricercatori, avvenuta tra il 19 novembre e il 10 dicembre scorsi, e finanziata dalla Società italiana di ortopedia e traumatologia e sostenuta dal Dipartimento Radiologico dell'Area fiorentina. Le sepolture di Giovanni dalle Bande Nere e della moglie Maria Salviati situate nelle Cappelle Medicee di Firenze sono state così ispezionate e facendo emergere maggiori dettagli sulle cause della loro morte.

Ha spiegato oggi il professore Fornaciari, presentando i primi risultati dell'ispezione condotta: ''Il chirurgo Abram intervenne su un arto gravemente compromesso da una semiamputazione traumatica, limitandosi a completarla e a regolarizzare i monconi''. Il chirurgo che amputò la gamba destra a Giovanni dalle Bande Nere, dunque, secondo Fornaciari, agì con grande professionalità, non sbagliò l'intervento e non cercò di provocarne la morte.

Abram eseguì l'operazione in maniera precisa: ''La tibia fu segata immediatamente al di sotto della metà prossimale e l'operazione ne interessò solo la porzione laterale, dove è evidente il taglio orizzontale".

"Infatti -ha spiegato Fornaciari- dal lato mediale non si rilevano segni di taglio, ma solo scheggiature con andamento obliquo a sezione chirurgica ed osservata al microscopio stereoscopico, evidenzia una forte proliferazione di callo osseo endostale, conseguente alla ferita di archibugio dell'anno precedente. Per quanto riguarda il moncone della fibula, si osserva una scheggiatura obliqua ed un taglio chirurgico orizzontale in corrispondenza dell'estremità distale. Il canale midollare non presenta segni riparativi''.

Inoltre, dalle analisi antropologiche condotte dall'Università di Pisa, il leggendario condottiero rinascimentale è apparso ''un individuo con il cranio dalle proporzioni armoniose, di statura elevata, con ossa robuste e molto modellate dall'attività fisica e dalla pratica dell'equitazione fin dall'adolescenza''.

Dall'indagine paleopatologica condotta sui resti di Maria Salviati, invece,  è emersa, oltre a una grave malattia parodontale, con 10 denti cariati e un ascesso, la presenza di un quadro tipico della sifilide terziaria, malattia sessualmente trasmessa comparsa in Europa alla fine del '400, divenuta endemica e molto comune proprio nel corso del '500. Negli ultimi tre anni di vita Maria, morta il 29 dicembre 1543, soffrì di febbri, cefalea, coliche addominali, ulcere anali e perineali e una grave anemizzazione progressiva.