Firenze, 19 novembre 2015 - La chiamai da Nashville, stava male. Mi disse: sto diventando cieca, l’alieno mi sta rubando gli occhi. Ti affido il compito di guardare Firenze per me. Ma fallo, non mettertela dietro le spalle come al solito. Io non la vedrò più la mia Firenze. Peccato. Sai, è la sola cosa che mi dispiace perdere morendo. Sogno ogni tanto fra tante cose brutte le mattine in cui passavo sul Ponte Vecchio in bicicletta e lasciavo in una fessura alla base della torre dei Mannelli, i messaggi che il babbo mi consegnava per i partigiani.
Era una Firenze coi coglioni, quella. Non si piegò ai nazisti. Una Firenze che non c’è più. E invece tornò a Firenze: volle morire in questa città che amava profondamente ma che con una insipienza crudele la lasciò sola a tu per tu con le polemiche oziose, le critiche ignoranti, i giudizi di chi di lei non aveva mai letto un rigo, ma aveva sentito dire.
Così la giornalista e la scrittrice più letta e tradotta nel mondo, per Firenze era un’aliena. Un’analfabeta. La donna di sinistra che aveva svergognato e tacciato di bugiardo Kissinger; la femminista che aveva rifiutato d’essere velata per intervistare l’ayatollah Khomeini e che aveva cambiato il modo di informare sulla guerra del Vietnam, annunciando all’America e al mondo quel che succedeva in quella parte martoriata di mondo, per i fiorentini, suoi concittadini era una destrorsa guerrafondaia.
Poi una fanatica che ce l’aveva con l’Islam, perché diceva che attentava alla pace nel mondo, voleva conquistare l’anima della gente, aveva riproposto il terrorismo moderno, voleva distruggere l’arte, quella passata e quella presente – sia cristiana che islamica – perché espressione di idolatria non consentita dal wahabitismo fondamentalista.
Tutto questo, che ora si sta avverando parola per parola, fu bollato come odio di razza. Oriana non odiava nessuno. A parte gli idioti che – diceva - agiscono senza pensare con la propria testa e sostituivano la ragione, l’intelligenza, con l’obbedienza cieca e assoluta alle ideologie.
Il buonismo la inorridiva: non essere buoni, essere buonisti, quindi remissivi. Porgere l’altra guancia ai violenti – sosteneva- significava essere masochisti. Invece era giusto difendersi. E difendere la nostra cultura, il nostro pensiero, la nostra storia.
Non condannò a suo tempo la dimostrazione degli eritrei in piazza San Giovanni. Condannò il fatto, come disse, che i dimostranti pisciassero conto il muro del Battistero. E credo avesse ragione anche se in quella occasione fui il parafulmine della sua ira. Mi accusò di non aver difeso, come giornalista, la città che aveva inventato l’umanesimo. I francesi riconoscono la bravura di uno scrittore di grande capacità come Celine, filofascista. I fiorentini non perdonano alla socialista Oriana, che ha sempre difeso la libertà di pensiero e le scelte culturali dell’Occidente, le sue critiche all’Islam.
Si può ancora parlare di Oriana Fallaci come fiorentina, così com’è scritto sulla biografia dei milioni dei suoi libri che si seguitano a editare in tutto il mondo? O la dovremmo ormai pensare come Newiorchese? Vabbé, Savonarola, perché critico con la Firenze dei Medici, l’abbiamo già bruciato, evitiamo di abbruciare anche lei. Credo non possiamo permettercelo davvero.
Dieci anni dopo la sua morte solitaria alla quale l’abbiamo condannata, Firenze le deve una strada, una piazza, un parco. Mettere da parte l’ipocrisia, non solo perché i tempi le stanno dando ragione, ma anche perché non può permettersi il lusso di ignorare il suo coraggio, la sua capacità di leggere il mondo, la sua incredibile forza intellettuale. Smettere di mandare al rogo chi non è in linea coi governanti di turno.