Firenze, 7 novembre 2015 - Con i suoi 91 anni, la maggior parte dei quali trascorsi nella chiesa fiorentina, le gioie sono state assai più numerose dei momenti meno facili. Una in particolare se la sta portando dietro dall’autunno di 29 anni fa quando Giovanni Paolo II arrivò a Firenze, Fiesole e Prato per una visita pastorale di due giorni. Il cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo dall’83 al 2001, ricorda con affetto e una particolare partecipazione i momenti vissuti con il pontefice venuto dall’est il 18 e 19 ottobre 1986.
Eminenza, contento di avere l’occasione di incontrare martedì a Firenze un altro Papa. E che Papa?
«Il Santo Padre arriva prima di tutto come segno della bontà del Signore e di vicinanza alla Chiesa riunita qui in occasione del Convegno ecclesiale nazionale. La sua presenza, tuttavia, illumina la città e la fa palpitare di grande gioia. E’ un input alla nostra speranza e al nostro impegno, il grande segno della presenza di Dio in mezzo a noi. Il Papa, d’altra parte, porta la presenza di Dio in ogni luogo e in ogni esperienza concreta di vita. Sarà quindi una giornata significativa, come fu del resto con Giovanni Paolo II».
Cosa la colpisce di più in Francesco?
«La sua immediatezza, l’andare verso la gente, l’apertura e la vicinanza: Papa Francesco te lo senti vicino. Sottolinea più che l’autorità e il prestigio del ruolo, la prossimità e l’affetto. Ti fa sentire abbracciato dalla Chiesa».
Le ricorda altri Pontefici che ha conosciuto?
«Ogni Papa ha il suo modo di esprimersi, la sua personalità. Ognuno ha la sua luce, che ci arriva filtrata dal “vetro” che è la sua persona, questo suo essere in contatto che sottolinea la vicinanza, e quindi l’essere partecipe della nostra storia, dei nostri problemi e di stimolarci all’impegno, attività nella quale siamo sempre in debito».
Cosa significa per Firenze e la chiesa fiorentina accogliere un Papa?
«Riscoprire se stessa e avere con maggiore chiarezza la consapevolezza della propria vocazione. A Firenze, che è stata la culla del primo umanesimo, si tratta oggi di riscoprire quell’umanesimo che in Cristo diventa perfetto e rimane modello di ogni cammino dell’uomo, anche dei fiorentini».
Lei ha avuto l’opportunità di incontrare Papa Giovanni Paolo II e soprattutto accoglierlo a Firenze da arcivescovo, come ricorda quei giorni e qual è stato il momento più bello?
«E’ stata un’occasione straordinaria di comunione che abbiamo vissuto come unica. Giovanni Paolo II era anche nel pieno della sua forma fisica, nel momento più alto del suo impatto col mondo. Era diventato Pontefice da pochi anni e già lanciato nella storia. La celebrazione allo stadio è stata veramente grandiosa. Il Papa era arrivato la mattina da Prato, accolto in via Cavour dalla folla nel suo tragitto verso la cattedrale. Quando arrivammo in piazza del Duomo staccò per un attimo gli occhi dalla gente per guardare in alto verso la Cupola, come rapito da tanta bellezza. Si vedeva che era contento. E’ stato un incontro molto composto, ordinato, sereno, sia durante l’abbraccio e la preghiera con i malati alla Santissima Annunziata, sia nel momento insieme ai giovani, i suoi giovani, in piazza Santa Croce, gremitissima come in poche altre occasioni. Ma è stata la Messa allo stadio comunale il momento più coinvolgente, con il lungo giro sulla pista di atletica in Papamobile. Non si è certo risparmiato: a fine giornata eravamo tutti molto stanchi, ma non certo lui».
Sarà così anche con Francesco?
«Ci farà sentire che attraverso Cristo, il Signore abbraccia la nostra esistenza, ci dà il coraggio di vivere coerentemente nella storia in cui siamo e di essere attenti all’uomo di oggi, con l’aprirsi ai poveri, rispettare la dignità di ogni persona, consentendole di vivere a pieno il proprio progetto. Sono tutti segni distintivi del suo pontificato».
Cosa riporteranno a casa Francesco e i delegati delle chiese italiane?
«Spero l’entusiasmo della nostra fede e la responsabilità di vivere il nostro impegno con l’uomo, perché sia quello che deve essere: in Cristo l’uomo ha raggiunto la sua pienezza, quindi seguirlo significa impegnarsi nell’amore verso i poveri, i primi verso i quali il Signore si china. E’ poi la bellezza stessa della nostra comunità che ha vissuto e vive nella storia questo impegno. Basti pensare agli Innocenti, alla Misericordia, che da otto secoli porta avanti un impegno di volontariato nella gratuità. Bellezza e carità che vanno a coniugarsi in modo così stretto non è che si trovino dappertutto. Firenze dà anche il senso dell’unità, raccolta com’è intorno alla Cupola del Brunelleschi e al Campanile di Giotto. E’ un segno: prima ancora della Cupola si è messa in cammino la carità».