Grosseto, 17 giugno 2011 - LO AVREBBE chiamato Fathy. E sarebbe stato il suo primogenito. Lui è Fathy Gomaa, egiziano di 32 anni, straniero, senza un lavoro e con una sigla accanto al cognome, tanto sinistra quanto surreale. E’ un «S.f.d.», un senza fissa dimora, «invisibile» ai più, un ragazzo che ormai da un mese vaga per la città con la sua macchina, insieme ad altre famiglie, in cerca di un tetto sotto il quale dormire. La sua storia è tragica perché, oltre ad aver perso tutto, aveva una moglie incinta che avrebbe avuto bisogno di rimanere sdraiata per non rischiare di perdere il bambino. Donya ha 23 anni e di aborti ne aveva già avuti tre.
E, alle 4,30 di ieri, il mondo gli si è rovesciato in testa un’altra volta. Il bimbo che aveva in grembo sua moglie è morto qualche settimana prima di nascere. Un aborto. Il quarto in pochi anni, una tragedia nella tragedia. Non riesce a trattenere le lacrime: «Lo sapevo che sarebbe andata a finire così — dice asciugandosi gli occhi —. E’ ormai un mese che mia moglie dorme in macchina e lunedì aveva avuto una colica renale...». Il flashback della notte gli ritorna prepotente davanti agli occhi: «Dormivamo in macchina in via Vico. Donya mi ha svegliato perché aveva forti dolori addominali. Ho visto il sangue e ho capito...».
La corsa, le sirene dell’ambulanza, poi la tragica notizia: «distaccamento della placenta». La diagnosi atroce accompagna la sua giornata da incubo: «Mi hanno detto i medici che se mia moglie fosse rimasta a riposo, il bimbo sarebbe sopravvissuto. Adesso qualcuno dovrà pagare per questo...». Lo sfratto da «Casa Betania», il tran tran di enti e istituzioni, le parole che sono rimaste tali: «Non volevo una casa. Ho esibito il certificato del medico per mia moglie.
Mi è stato detto di arrangiarmi. Bastava un mese di letto per lei e tra qualche giorno sarei anche potuto tornare in strada. ma con me avrei avuto un bambino...». Parole crude. Amare come l’ultima considerazione: «Mia moglie adesso vuole morire. Volevamo un figlio e adesso...». Fathy ha intanto denunciato il fatto alla polizia per accertare se eventualmente possono essere imputate delle responsabilità per quanto capitato alla moglie. Poi la beffa finale,quasi grottesca. E’ proprio lui a raccontarla: «Oggi è venuto l’assistente sociale del Comune a dirci se avevamo bisogno di aiuto... Gli ho detto di no. Ormai era troppo tardi».
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