Lucca, 6 giugno 2017 - SENTENZA definitiva per Massimo Donatini, l’operaio 45enne di Camigliano che il 7 aprile di due anni fa uccise in un agguato sotto casa il suo caporeparto alla Lucart, Francesco Sodini di 53 anni. L’omicida, difeso dagli avvocati Fabrizio Ungaretti e Ornella Da Tofori, era stato condannato lo scorso 30 novembre alla pena di 13 anni e 4 mesi di reclusione, nel corso del rito abbreviato celebrato in udienza preliminare dal gup Giuseppe Pezzuti. Una sentenza ritenuta piuttosto mite, arrivata peraltro grazie alla scelta del rito, che prevede uno sconto di un terzo della pena, e alla perizia psichiatrica chiesta dall’accusa, secondo la quale, al momento dell’omicidio, Donatini non era in grado di comprendere pienamente il significato delle proprie azioni. Una semi infermità mentale che ha fatto calare sensibilmente la pena.
LA SENTENZA del gup non è stata appellata dai difensori di Donatini, né dal pm Antonio Mariotti. Così, trascorsi sei mesi dalla condanna per omicidio volontario e porto abusivo di armi, a questo punto la pena di 13 anni e 4 mesi diventa definitiva. Donatini la sta scontando adesso nel carcere di Massa, dove ha chiesto di poter essere trasferito un modo da partecipare a progetti di lavoro all’interno della struttura.
UN CASO choc il suo, che scosse la città. Donatini disse di aver agito perché convinto che il caporeparto Sodini e altri colleghi l’avessero in qualche modo preso di mira, tanto che era certo di perdere il posto di lavoro. Quella tragica mattina del 7 aprile, con una pistola sottratta il giorno prima al padre, camminò per oltre otto chilometri da Camigliano fino a piazza Salvo D’Acquisto a San Filippo, dove viveva Sodini. Gli tese un agguato mortale, sparandogli 13 colpi di pistola appena lo vide uscire di casa. Poi andò a costituirsi tranquillamente alla caserma dei carabinieri in cortile degli Svizzeri, consegnando anche l’arma.