ATTRAVERSO DUE PORTE APERTE
 

Erano arrivati in hotel da più di un’ora. Si erano seduti sul letto
matrimoniale ed erano rimasti così, gamba contro gamba, per qualche
minuto. Poi lei si era alzata, era andata in bagno, e lui aveva preso il
cellulare, controllato le sue mail, fatto una telefonata alla quale nessuno
aveva risposto.
Lei era tornata dal bagno più bella e con il volto ancora umido. Allora lui le
aveva detto:
“Scendiamo?”.
Lei lo aveva seguito giù per le scale. I passi di lui andavano a velocità
doppia rispetto a quelli di lei. Quando era emersa dall’ultima rampa, lo
aveva trovato già al bancone del bar, che parlava col barman. Si era seduta
accanto a lui ed aveva bevuto quello che aveva ordinato per lei.
Si erano appena alzati per tornare nella loro camera, quando era arrivato
l’uomo con la mano fasciata. Era alto, molto magro e aveva dei capelli neri,
leggermente sporchi, che gli ricadevano sulla fronte a ciocche disordinate.
Aveva la barba lunga di qualche giorno e una mano fasciata.
Fu la donna a vederlo per prima. Mise una mano sul braccio del marito, per
attirare la sua attenzione su di lui. Entrambi si voltarono nella stessa
direzione e lo guardarono. L’uomo si accorse della coppia. Andò loro
incontro, tenendo alta la mano fasciata. La fasciatura lasciava scoperto un
lembo di carne viva, che essudava minuscole gocce di sangue, che
impregnavano la garza ai suoi lati.
“Salve”, disse, quando fu loro di fronte.
Disse alla coppia di essere una specie di guida turistica del posto. Che la vita
era abbastanza dura, di quei tempi, e che ognuno doveva arrangiarsi come
poteva, per guadagnarsi la giornata.
“Non lavora per un tour operator?”, gli chiese il marito.
L’uomo con la mano fasciata sorrise, abbassando lo sguardo. Una ciocca di
capelli sporchi gli cadde sul naso e lui se la portò dietro un orecchio con la
mano sana.
“No signore. Nessun tour operator. Lavoro in proprio”, disse, guardando la
donna.
 

La donna ripeté lo stesso gesto dell’uomo, si portò una ciocca di capelli –
morbidi, castani, puliti, dal leggero odore di malva – dietro un orecchio. Poi
disse all’uomo con la mano fasciata:
“E che genere di visite organizza?”.
L’uomo le sorrise, mentre il marito si agitava sullo sgabello alle sue spalle.
Era il suo modo di dirle di chiudere la conversazione e tornare in camera.
Ma lei fece finta di non accorgersene.
“Visite di posti speciali. Che i tour operator neanche conoscono. Posti
indimenticabili”, disse l’uomo, sempre guardando la donna.
Il marito smise di agitarsi sullo sgabello. Si alzò e mise una mano sulla
spalla della moglie. Disse:
“Grazie delle informazioni, però noi…”
“Saremmo interessati. C’è qualcosa che si possa visitare in un paio d’ore?
Abbiamo il pomeriggio libero”, lo interruppe la donna.
Il marito strinse le dita sulla spalla della moglie. Lei rimase immobile,
mentre si formavano quattro lividi rotondi sulla sua clavicola.
“Un paio d’ore… sì, ci sarebbe un posto qua vicino. Qualcosa di davvero
unico. Il prezzo è standard, però. Sono 100 € a visita”, rispose l’uomo.
La donna prese i soldi dalla borsetta che si era portata dietro. Il marito lasciò
la presa sulla spalla e le afferrò il polso, che si allungava verso l’uomo per
porgergli i soldi della visita.
“Amore, forse ne dovremmo parlare un momento… Io non so se sia il
caso… Siamo stanchi per il viaggio e domani abbiamo un sacco di cose da
fare…”, disse il marito.
 

La donna sorrise prima all’uomo con la mano fasciata, poi al marito.
“Amore, se non te la senti aspettami pure qua. Vai in camera a riposarti. Io
torno tra un paio d’ore”, disse.
Il marito guardò prima la moglie, poi l’uomo davanti a loro, che si teneva la
mano ferita. Scosse la testa, poi prese i soldi dalla mano della moglie e se li
mise in tasca.
“Va bene, facciamo questa visita. Ma la pagheremo quando saremo di
nuovo qua”, disse.
L’uomo annuì e guardò la donna.
“Suo marito ha ragione. Prima la visita, poi il pagamento”.
Uscirono dall’hotel e il sole li colpì in faccia, facendo chiudere gli occhi per
un momento a tutti e tre. Gli occhi rimasero abbagliati per qualche istante,
poi lentamente si abituarono alla luce.
L’uomo con la mano fasciata parlava del più e del meno, mentre indicava
loro la strada per raggiungere la meta di cui non voleva ancora rivelare i
dettagli.
La donna gli camminava a fianco, mentre il marito li seguiva, asciugandosi
ogni tanto il sudore dalla fronte con la manica della camicia. Si toglieva il
cellulare dalla tasca dei pantaloni, controllava che non fossero arrivati
messaggi, poi lo rimetteva nella stessa tasca. Andava avanti così da qualche
minuto, quando l’uomo con la mano fasciata disse:
“Siamo quasi arrivati. Dobbiamo prendere questa strada”.
La donna ed il marito si fermarono davanti al bivio. A destra la strada
asfaltata che avevano percorso fino a quel momento curvava, scendendo
verso il basso. A sinistra la strada diventava sterrata e penetrava in un bosco
in salita.
“Per di qua? È sicuro?”, aveva chiesto il marito.
L’uomo con la mano fasciata aveva mosso qualche passo in quella
direzione, poi si era voltato verso la coppia. Disse che era sicuro e che aveva
già portato molte coppie lassù. Dovevano solo salire per qualche decina di
metri lungo il bosco, poi sarebbero arrivati.
 

La donna lo raggiunse. Si voltò verso il marito e lo canzonò dicendo:
“Cambiato idea, amore?”.
Il marito raggiunse i due, nel bosco. Camminarono in silenzio per qualche
decina di metri, come aveva detto l’uomo con la mano fasciata, poi si
fermarono davanti a quello che sembrava un edificio abbandonato.
“Siamo arrivati”, disse l’uomo con la mano fasciata.
“E questo, cosa sarebbe?”, chiese il marito, mettendosi le mani sui fianchi.
“È un ex ospedale psichiatrico. Ormai è abbandonato da quasi vent’anni, ma
è un luogo molto suggestivo. Pensate che vengono centinaia di persone ogni
anno a visitarlo”, disse l’uomo con la mano fasciata.
“Io non ho intenzione di entrare in un rudere pericolante”, disse il marito,
sempre con le mani infisse nei fianchi. La sua camicia era chiazzata di
sudore sul ventre e sui polsi.
“Io vado a dare un’occhiata”, disse la moglie.
“Ma…”, cercò di obiettare il marito.
La donna lo zittì voltandogli le spalle e seguendo l’uomo con la mano
fasciata dentro un’apertura senza porta.
Il marito si guardò intorno. Vide gli alti platani che circondavano l’edificio.
Vide l’intonaco scrostato, un paio di finestre dai vetri rotti che sbattevano al
vento. Vide la strada, che scendeva verso il paese. Poi si voltò verso
l’edificio e seguì i due.
 

L’uomo con la mano fasciata e la moglie erano saliti quasi subito al primo
piano. Lui le aveva detto che da una finestra d’angolo c’era una bellissima
vista sulla valle.
Il marito li aveva cercati a lungo, al piano terra, senza salire mai. Aveva
sentito il vento, fischiare tra gli alberi e tra i muri macchiati d’umidità;
emulare voci, insinuandosi su per le scale, tra le porte aperte dei corridoi,
che si rincorrevano deserti.
Non aveva trovato né lei, né lui, da nessuna parte.
Entrambi gli camminavano sulla testa, facendo scricchiolare i solai
pericolanti e facendo vibrare i vetri delle finestre coi loro passi. La vista non
era niente male, aveva convenuto lei, ma la desolazione di quell’edificio,
delle stanze svuotate, dei lavandini rotti, delle vasche ancora intatte,
l’attirava di più.
L’uomo con la mano fasciata la guardava aggirarsi per quelle stanze buie,
ricoperte di polvere e resti di qualcosa che ormai non era più neanche un
ricordo.
Con la mano sana l’aveva presa per un braccio e l’aveva avvicinata a sé. I
due si erano baciati a lungo, in una grande stanza vuota, con tante finestre
aperte da cui entravano luce e aria.
Lei gli aveva messo le braccia al collo e aveva chiuso gli occhi. Si era
sollevata sulla punta dei piedi e aveva schiacciato il suo corpo contro quello
esile e precario dell’uomo.
Lui la toccava con una mano sola, l’altra abbandonata lungo un fianco.
Il marito aveva sentito qualcosa al piano di sopra. Un rumore o forse una
voce. Si disse che no, era ancora il vento che fischiava tra gli alberi e tra i
muri macchiati d’umidità. Che non c’era nessuno in quell’edificio, che sua
moglie e l’uomo dalla mano fasciata erano già usciti e lo aspettavano fuori,
spazientiti. Che non era un’ombra quella che aveva visto muoversi infondo
al corridoio, attraverso due porte aperte.
Si erano trovati fuori dopo quasi un’ora.
Prima erano usciti la donna e l’uomo con la mano fasciata. Poi il marito era
emerso da dove era entrato, con gli occhi sbarrati e la bocca asciutta. Aveva
detto:
“Ho una sete da morire. Torniamo in hotel”.
 

Al contrario di quanto era avvenuto all’andata, adesso era il marito a
precedere la moglie e l’uomo con la mano fasciata. Camminava a passi
brevi ma frequenti. Sembrava una corsa, la sua.
La moglie e l’uomo con la mano fasciata camminavano vicini, quasi
sfiorandosi i fianchi. La mano ferita di lui era dalla parte opposta rispetto
alla donna. Con la mano sana ogni tanto le sfiorava il sedere e lei sorrideva.
Il sole stava per tramontare, c’era vento e la temperatura stava calando.
Incrociarono qualcuno, prima di arrivare in hotel, ma nessuno sembrò
accorgersi di loro. Li attraversarono con lo sguardo, come si attraversano i
fantasmi.
Una volta arrivati all’hotel, il marito aveva dato i soldi all’uomo con la
mano fasciata. La donna aveva guardato quella banconota da 100 €, che
prima era stata nella sua borsetta, passare dalla mano di suo marito a quella
sana dell’altro uomo. Questo si era messo i soldi in tasca e poi si era voltato,
agitando la mano sana sopra la spalla, mentre si allontanava.
L’aveva salutata così, senza guardarla.
Il marito si era seduto su una panchina, vicino all’ingresso dell’hotel. La
donna lo aveva imitato e gli si era seduta a fianco. Erano rimasti così,
gamba contro gamba, per qualche minuto. Poi qualcosa li aveva fatti alzare
di nuovo. Prima lei. Poi, dopo qualche istante, lui.

Sara Salomoni