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La grande croce eretta nel 1956
Pisa, 10 maggio 2017 - Una mano anonima ha lasciato una rosa rossa sull’antico altare in pietra serena, rimasto miracolosamente in piedi nell’esplosione che nella notte del 2 maggio ha completamente sventrato il chiesino del Castellare a San Giovanni alla Vena. Sotto l’altare c’è anche una lapide, anch’essa intatta, che ricorda un primo restauro del monumento, avvenuto ancora nel Settecento e alle sue spalle si alza la possente parete con la nicchia che aspitava un grande Cristo ligneo, testimone silenzioso e impotente della devastante esplosione e poi del fuoco, le cui fiamme si alzavano alte, visibili in tutta la piana sottostante che si allunga verso il mare, svelando in lontananza, fin dove l’occhio può arrivare, le sagome del porto di Livorno. E ai più anziani, nel vedere il monte avvolto in un rogo spaventoso, è tornata in mente la prima distruzione del chiesino, quella del 1944, durante la guerra, quando venne colpito da alcune cannonate sparate da lontano. Anche allora l’altare restò in piedi.
L’altare e la rosa, pietà e offerta di ringraziamento perché nessuno è morto nella notte maledetta. Simboli, identità e senso appartenenza per ribadire che il chiesino verrà ricostruito più bello e robusto di prima. Anche ieri in tanti sono saliti al Castellare per vedere la devastazione. Hanno lasciato l’auto nei prati più in basso per proseguire a piedi lungo il sentiero.
E ad ogni passo è una fitta al cuore, l’odore acre di bruciato che ancora impregna l’aria e prende le narici: tutto intorno alla chiesa un desolante spettacolo di macerie, detriti, ferri contorti, porte sventrate, muri anneriti. Schiacciate dal crollo del tetto le panche del chiesino, mentre una marea di tegole rotte è dispersa in una vasta area. Sotto una delle possenti travi, rimasta incastrata tra pavimento e muro è stato sbalzato Massimo Perini, del Comitato che si occupa di valorizzare il chiesino, proprietà della curia e affidato alla parrocchia di San Giovanni alla Vena (parroco don Paolo Manzin). E così si è salvato. Quella notte era insieme «a una decina di amici, stavano mettendo a punto i dettagli della festa di Santa Croce, che avrebbe dovuto tenersi sabato 6» ricorda il cugino Guido Batini, anche lui tra i presenti: «Nel cucinotto c’era una bombola nuova, all’improvviso si è rotta la valvola e l’ambiente si è immediatamente saturato di gas».
E’ stata una questione di attimi. C’erano i fornelli accesi. «Ho urlato a tutti di scappare e siamo usciti sul prato, ma Massimo è tornato dentro per recuperare alcuni oggetti e chiudere la bombola. Cosa che in effetti è riuscito a fare, ma in quell’istante c’è stata l’esplosione. E lui era ancora all’interno. Il violento spostamento d’aria l’ha scaraventato in chiesa». Anche questo ambiente era saturo di gas e il botto ha fatto sollevare il tetto come un tappo di spumante. Perini si è ritrovato sotto una grande trave e si è salvato: «A un certo punto lo abbiamo visto uscire tra le fiamme, col viso annerito, i vestiti bruciacchiati, dolorante, ma sulle sue gambe. Un miracolo» dice Batini: «Adesso Massimo sta bene, è rientrato al lavoro e ha una gran voglia, come noi, di ricominciare a ricostruire tutto. Tutta la comunità è molto legata a questo luogo: mio nonno Silvano Batini è stato uno dei promotori e il cassiere del Vecchio Comitato, quello che ricostruì il chiesino dopo la guerra. Lo rifaremo di nuovo, più bello e robusto di prima».