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Lo Cascio sale sul palco del "Verdi": "Il teatro mi affascina"

L'intervista - Pisa accoglie l'attore, volto noto anche al cinema e alla televisione DI VALERIA CALDELLI

Lo Cascio in scena

di Valeria Caldelli

Pisa, 6 febbraio 2015 - Studiare gli è sempre piaciuto, anche se in alcuni campi sostiene di essere 'totalmente inetto'. Però quando ha cominciato a frequentare l'Accademia di Arte Drammatica a Roma ha capito subito che quella era la sua strada. Oggi Luigi Lo Cascio, che si muove con grande disinvoltura dal teatro al cinema e dalla scena alla regia, è uno degli attori più amati dal pubblico italiano.

L' indimenticabile Peppino Imposimato nel film di Marco Tullio Giordana, ' I cento passi' , gli ha fatto guadagnare il David di Donatello come migliore attore nel 2001. Da allora è stato un susseguirsi di successi cinematografici. Scelto dai migliori registi italiani è diventato Antonio ne 'La luce dei miei occhi'; Claudio in 'Il più bel giorno della mia vita'; Nicola ne 'La meglio gioventù' e ancora molti altri personaggi hanno avuto il suo volto, dandogli fama e popolarità.

Adesso lui è Sandro nell'ultimo film di Francesca Archibugi, 'Il nome del figlio', arrivato nelle sale solo un paio di settimane fa e oggi già in testa alle classifiche. Però il ciack della macchina da presa non ha mai spento la sua passione per il teatro. Dal palcoscenico ha continuato a raccontarci Kafka, ha seguito Luca Ronconi nelle sue rappresentazioni dell'uomo moderno e ora ci parla di Shakespeare.

A modo suo. Riscoprendo in Otello la storia di un uomo tormentato dalla passione e dando della tragedia una versione personalissima e poetica anche usando un linguaggio particolare, il siciliano letterario. Sabato sera e domenica pomeriggio l'Otello firmato da Luigi Lo Cascio sarà al Teatro Verdi di Pisa con Valentina Cenni nel ruolo di Desdemona e Vincenzo Pirrotta in quello di Otello, mentre lo stesso

Lo Cascio si trasformerà in Iago. Il quarto e ultimo protagonista è un soldato (Giovanni Calcagno), insieme narratore e coscienza critica di una storia che questa volta comincia dalla fine, quando il dramma si è ormai consumato.

­Lei è nato dal teatro, poi è passato al cinema, poi di nuovo al teatro. Li ama entrambi nello stesso modo?

"Adesso sono due percorsi paralleli, anche se il mio avvicinamento al mestiere dell'attore è avvenuto con il teatro. Sono entrato nel cinema con 'I cento passi' quando avevo già più di 30 anni. Ed è stato un ingresso non solo come attore, ma anche come spettatore. Quel film, fatto un po' per caso, ha aperto per me un periodo di grande fascinazione verso il mondo della macchina da presa. Da allora le due cose si alternano, dandomi ognuna diverse possibilità".

­Cos'è il teatro per lei?

Il luogo dove provo a cimentarmi anche come autore, e questo aumenta il mio coinvolgimento. Inoltre, mentre un attore nel cinema dialoga con il pubblico attraverso i tagli e il montaggio di un regista, in teatro è completamente responsabile di se stesso, da solo davanti agli spettatori. Anche dal punto di vista della sperimentazione linguistica il teatro mi affascina. Nel cinema si è infatti obbligati a usare la lingua quotidiana, mentre il palcoscenico permette di parlare lingue diverse, come la poesia, ad esempio". ­

La televisione è nei suoi progetti?

"Non in quelli ravvicinati nel tempo. Non ho comunque diffidenza o pregiudizi. Se un autore mi propone qualcosa che mi piace, va benissimo. Ho già interpretato alcuni film di produzione televisiva e lo rifarei senza problemi. Forse preferirei evitare quelle serie che ti fanno identificare con un personaggio per tutta la vita perchè io amo cambiare. Però ripeto: non ho pregiudizi".

­Perché ha scelto l'Otello per la sua nuova regia teatrale?

"Per amicizia. Quella tra me e Vincenzo Pirrotta, che interpreta Otello. Una ventina di anni fa, subito dopo le rispettive scuole, fantasticammo di fare qualcosa insieme. Pensammo all'Otello perchè è un'opera in cui esiste un assoluto coprotagonismo tra Otello e Iago, tanto che già dal '700 gli attori si scambiavano le parti. Ci siamo incontrati di nuovo dopo molti anni e alla fine ci siamo riusciti. Il testo mi ha appassionato fin dal primo momento e l'ho riscritto, sfrondandolo e suggerendo un'interpretazione".

­Quale?

"Quella di restituire una fortissima responsabilità soggettiva al gesto di Otello. Lui è il comandante dell'esercito veneziano, non è certo uno sciocco o uno sprovveduto, eppure cade nella trappola tesa da Iago. Perché? Forse perché è dominato dalle passioni più travolgenti che trasformano un amore in un odio micidiale. Ho scelto dunque di privilegiare il rapporto uomo­donna e ho costruito il testo mettendo l'accento sulla storia d'amore tra Otello e Desdemona. L'atto drammatico è l'estrema conseguenza del transito repentino tra un sentimento positivo e uno negativo che non dà possibilità di appello. Qualcosa che non c'entra con le differenze di razza o di colore della pelle e che può riguardare ognuno di noi".

­Otello e Desdemona trasportati nel mondo di oggi?

"No, non c'è alcun messaggio di questo tipo, nessun modello pedagogico. E' solo una rilettura di Shakespeare. Certamente oggi esistono uomini come Otello, ma non sta a me fare della sociologia. Se poi guardando lo spettacolo il pubblico riflette su certe situazioni e riesce a focalizzare i propri meccanismi interiori, questo è certamente positivo".

­Perché l'uso del siciliano?

"Ho provato a tradurre Shakesperare in italiano, ma non ci riuscivo come avrei voluto. Il fatto è che quella di Shakespeare è una lingua barocca, metaforica, che l'italiano di uso quotidiano non riusciva a interpretare. Il siciliano, quello letterario, mi è venuto incontro, perché è un linguaggio più diretto, che viene da lontano".

­Cos' è il successo per lei?

"Il passaggio dall'anonimato alla notorietà".

­Ne è soddisfatto?

"Molto. La notorietà che ho avuto grazie al cinema mi ha consentito di poter proporre testi teatrali e di metterli in scena. Questo elimina gli ostacoli, rende liberi. Ed è impagabile".

­Rimpianti? Paure?

"Niente di ciò. Certo, posso avere delle preoccupazioni, che prima erano individuali, o di coppia, mentre adesso, che ho due figli, sono aumentate. Diciamo che sento maggiori responsabilità. Però ho anche molte più occasioni di felicità".

Attori si nasce o si diventa strada facendo?

"La recitazione è un gioco per tutti, ma quando diventa un lavoro non si può dire che basti andare a scuola per imparare, anche se lo studio è fondamentale per chiunque abbia comunque una struttura innata. Se io non avessi frequentato l'Accademia d'Arte drammatica non sarei mai riuscito ad approfondire un certo talento. A scuola non solo ci si confronta con i maestri, ma si riconoscono i propri limiti specchiandosi nelle capacità degli altri. Ci si può riuscire senza scuola solo se c'è un' attitudine particolare". ­

Come sua madre?

"Come mia madre...Ne 'La città ideale', primo film di cui ho curato la regia, lei ha interpretato il ruolo di mia madre, non senza qualche perplessità iniziale. Non è stato facile. Anzi, nei primi momenti è stato un disastro. Poi ha raggiunto quella naturalezza necessaria a un'attrice e dovunque il film è stato presentato, dall' Europa alla Russia, tutti sono rimasti entusiasti della sua interpretazione. E' bravissima".

­A lei piacciono le sfide. Quale sarà la prossima?

"Ho molte tentazioni. Per ora nessun progetto".