2008-05-27
di LORENZO MAFFUCCI
FOSSI in Linneo scenderei dal piedistallo e andrei di là della strada a stringere la mano a Osvaldo Solari (nella foto qui sopra), ebanista e intarsiatore: un poeta insospettabile nascosto al Legno Rosso di Capostrada (Pistoia), nel can can di una bottega sempre in cerca di radio e dischi d'epoca. Uomo invidiabile perché è tra i pochissimi a conoscere il sentimento nascosto delle cose (suo degno compare, relativamente ad altre ossessioni, potrebbe essere l'artista Paolo Tesi), alla testa di quella minoranza caparbia che continua a leggere poesia laddove tutti gli altri s'interrompono.
Senza scuola, senza maestri, per dieci ore al giorno, fino a notte fonda Osvaldo lavora accompagnato dai suoi canarini e dai dischi d'antan («Ci sono tutti: Tajoli, Villa, Narciso Parigi...»), circondato da mobili da lui realizzati, da un'infinità di radio d'epoca e vecchi orologi e dal viavai di amici che si fermano volentieri a far due chiacchiere. Chi non lo conosce e butta un occhio di là della soglia resta a bocca aperta. Garantito.
Osvaldo è nato a nel 1936 a Castiglion Fiorentino. A Pistoia ha lavorato come falegname alla Maltinti e da Nobili, quindi da modellista a Calenzano. Fin da ragazzino ha costruito carri, barrocci, calesse: «Si lavorava da buio a buio, e se si sbagliava, pedate nel sedere. Ma la malattia dell'ebanista m'è venuta mentre ero sotto le armi: la sera tutti in libera uscita, e io da solo mi sono messo a costruire un cofanetto. E non ho mollato mai. Senza copiare mai niente: sono un artigiano e devo fare tutto quello che piace a me. Ho lavorato per 38 anni da dipendente, e mi è bastato».
Tutto da sé da lì in poi. A partire dall'atomo dei minuscoli tasselli di legno che costituiscono il grado zero del suo lavoro impossibile di intarsiatore. In cinque centimetri quadrati ci sono anche 25 tipi di legno: paduka, ebano, wengé, olmo, cipresso, mogano, acero, noce, ciliegio, olivo accostati in geometrie impossibili che sfidano il buonsenso della carpenteria, fuggendo le superfici piane perché «le cose lineari son talmente semplici che non danno soddisfazione». E pensare che quando il lavoro arriva a fine Osvaldo non è mai del tutto contento: «Diciamo al 60-70%».
In casa ha una credenza su cui ha lavorato per 23 anni, giorno dopo giorno, per tutto il tempo libero. Nella bottega, dal 1990, ha in lavorazione un grande mobile con una cristalliera, un capriccio geniale e visionario che non sarà finito prima di 3 o 4 anni. «Se ce la faccio. E sennò rimane qui: dove lo trovo un altro? Non ho una macchina che fa questo lavoro: ho le mani e questa testa, non c'è altro. Non mi rendo conto nemmeno come ho cominciato: so solo che non ho mai smesso. Nel 1960 ho fatto il primo cofanetto, e ho sempre da finirlo. Ne comincio tanti e non ne finisco mai una...».
La mente, la mano e l'intuito: senza commissioni, senza logica della bottega, senza progetti. «Il disegno l'ho nella testa, vien da sé. Mi muovono i colori, e il fatto che la gente li apprezza mi dà forza. E amo il legno perché è un materiale vivo, suscettibile al calore e all'umidità. Si muove di continuo».
E se dovesse dare una definizione di sé? «Ah! Un citrullo. Chi altri mai farebbe un lavoro del genere?».
di LORENZO MAFFUCCI
FOSSI in Linneo scenderei dal piedistallo e andrei di là della strada a stringere la mano a Osvaldo Solari (nella foto qui sopra), ebanista e intarsiatore: un poeta insospettabile nascosto al Legno Rosso di Capostrada (Pistoia), nel can can di una bottega sempre in cerca di radio e dischi d'epoca. Uomo invidiabile perché è tra i pochissimi a conoscere il sentimento nascosto delle cose (suo degno compare, relativamente ad altre ossessioni, potrebbe essere l'artista Paolo Tesi), alla testa di quella minoranza caparbia che continua a leggere poesia laddove tutti gli altri s'interrompono.
Senza scuola, senza maestri, per dieci ore al giorno, fino a notte fonda Osvaldo lavora accompagnato dai suoi canarini e dai dischi d'antan («Ci sono tutti: Tajoli, Villa, Narciso Parigi...»), circondato da mobili da lui realizzati, da un'infinità di radio d'epoca e vecchi orologi e dal viavai di amici che si fermano volentieri a far due chiacchiere. Chi non lo conosce e butta un occhio di là della soglia resta a bocca aperta. Garantito.
Osvaldo è nato a nel 1936 a Castiglion Fiorentino. A Pistoia ha lavorato come falegname alla Maltinti e da Nobili, quindi da modellista a Calenzano. Fin da ragazzino ha costruito carri, barrocci, calesse: «Si lavorava da buio a buio, e se si sbagliava, pedate nel sedere. Ma la malattia dell'ebanista m'è venuta mentre ero sotto le armi: la sera tutti in libera uscita, e io da solo mi sono messo a costruire un cofanetto. E non ho mollato mai. Senza copiare mai niente: sono un artigiano e devo fare tutto quello che piace a me. Ho lavorato per 38 anni da dipendente, e mi è bastato».
Tutto da sé da lì in poi. A partire dall'atomo dei minuscoli tasselli di legno che costituiscono il grado zero del suo lavoro impossibile di intarsiatore. In cinque centimetri quadrati ci sono anche 25 tipi di legno: paduka, ebano, wengé, olmo, cipresso, mogano, acero, noce, ciliegio, olivo accostati in geometrie impossibili che sfidano il buonsenso della carpenteria, fuggendo le superfici piane perché «le cose lineari son talmente semplici che non danno soddisfazione». E pensare che quando il lavoro arriva a fine Osvaldo non è mai del tutto contento: «Diciamo al 60-70%».
In casa ha una credenza su cui ha lavorato per 23 anni, giorno dopo giorno, per tutto il tempo libero. Nella bottega, dal 1990, ha in lavorazione un grande mobile con una cristalliera, un capriccio geniale e visionario che non sarà finito prima di 3 o 4 anni. «Se ce la faccio. E sennò rimane qui: dove lo trovo un altro? Non ho una macchina che fa questo lavoro: ho le mani e questa testa, non c'è altro. Non mi rendo conto nemmeno come ho cominciato: so solo che non ho mai smesso. Nel 1960 ho fatto il primo cofanetto, e ho sempre da finirlo. Ne comincio tanti e non ne finisco mai una...».
La mente, la mano e l'intuito: senza commissioni, senza logica della bottega, senza progetti. «Il disegno l'ho nella testa, vien da sé. Mi muovono i colori, e il fatto che la gente li apprezza mi dà forza. E amo il legno perché è un materiale vivo, suscettibile al calore e all'umidità. Si muove di continuo».
E se dovesse dare una definizione di sé? «Ah! Un citrullo. Chi altri mai farebbe un lavoro del genere?».
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