"Sono io il condannato. Condannato all’ergastolo, paralizzato dalla testa in giù, che non posso nemmeno abbracciare mia figlia. Ho solo 44 anni, la testa per pensare e neanche un muscolo per agire". Non riesce a pensare ad altro che a quello che ha perso per sempre Gianmichele Gangale (nella foto). La notizia dell’arresto, mercoledì scorso a Tirana in Albania, dell’ultimo dei quattro banditi che lo aggredirono non lo consola, semplicemente perché Gianmichele è inconsolabile. Sono passati otto anni da quella maledetta mattina. Era il 24 gennaio del 2013 quando una banda di feroci malviventi entrò nel casale sulle colline di Buriano dove viveva con il padre Francesco, e la badante. Volevano la cassaforte, li avevano pedinati, sapevano le loro abitudini. Quella mattina Gianmichele aveva la febbre e non era andato al lavoro. Se li era trovati davanti e aveva reagito ma ha avuto la peggio. Una delle coltellate, quella al collo, lo ha condannato per sempre su una sedia a rotelle.
Le indagini dei carabinieri furono fulminee. Tre dei quattro feroci rapinatori, tutti albanesi, furono catturati subito, quattro giorni dopo la rapina. L’ultimo, anche lui fermato, poi rimesso in libertà era riuscito a scappare facendo perdere le sue tracce. Ma le ricerche non sono state mai interrotte. Un lavoro paziente e continuo, quello svolto dagli uomini del Comando provinciale carabinieri di Pistoia, un lavoro fatto incrociando dati, segnali lasciati anche in rete sui social, anche in stretta collaborazione con il servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia e l’ufficio dell’esperto per la sicurezza a Tirana. Ora Selman Balla, 56 anni, si trova in carcere a Tirana e sono già state avviate le procedure per l’estradizione in Italia dove dovrà scontare la pena per la condanna definitiva a undici anni e dieci mesi.
"Il carcere se lo meritano tutti e quattro", commenta Gianmichele (anche le condanne non furono morbide: 14 anni al rapinatore che accoltellò Gianmichele, Pepa Arben, 36 anni, e dieci per il connazionale Kola Kastriot, mentre l’altro complice all’epoca minore, Gerardo Preci, aveva avuto una condanna a 7 anni). "Nessuna sentenza però mi renderà giustizia – spiega Gangale – Io mi sveglio ogni mattina e combatto una battaglia che nessuno conosce o vuole vedere: la mia battaglia per avere un sollevatore dall’Asl che funzioni, per esempio. Costa 900 euro, mi è durato otto anni quello che avevo, vuol dire pochi centesimi al giorno, ma la mia vita non vale nemmeno quelli, evidentemente". Risarcimenti Gangale non ne ha mai visti. I banditi furono condannati a pagare due milioni di euro: soldi rimasti virtuali, perché si tratta di nullatenenti. "Non ho mai visto un centesimo. Vivo con la pensione lavorativa anticipata – racconta Gianmichele – perché facevo l’elettricista. Oggi i soldi li userei per facilitare la mia vita, per avere un po’ di dignità, e per la ricerca. Solo io so che cosa significa aver avuto una lesione midollare: significa dover chiedere a tua moglie di darti un bicchiere d’acqua e di metterti a letto. Perché da solo non riseco a fare nemmeno questo".
Martina Vacca