Prato, 23 dicembre 2011 - IL GIORNO più nero della parabola dorata della Sasch sembrava essere quello di fine ottobre, quando il Tribunale di Prato ne dichiarò il fallimento. Bisognerà ritoccare la storia dell’azienda (e non solo) e aggiungere una nuova tappa, quella di ieri. Quando la Guardia di finanza ha bussato a casa di Roberto Cenni e di altri sette per notificare gli avvisi di garanzia per bancarotta fraudolenta.
Una voce che ci ha messo davvero poco a fare il giro della città, di bocca in bocca, di palazzo in palazzo, fino a diventare onda politica (ce ne occupiamo più avanti) e giudiziaria.
GLI INDAGATI, oltre a Cenni, sono coloro che hanno affollato la guida dell’universo Sasch nel recente passato. Sono Giacomo Cenni, figlio di Roberto. Anche i fratelli Gianluca e Giuseppe Giovannelli, soci ai vertici dell’azienda. E poi il manager Michele Tardi, che entrò in gioco su indicazione delle banche; Carlo Mencaroni, già amministratore delegato di Eurotintoria; il ragioniere Mario Pacetti, già consigliere; Antonio Rosati, cognato del sindaco. Proprio Rosati uscì pulito da un processo a luglio del 2010, un proscioglimento pieno per il presidente del cda Sasch dall’accusa di aver utilizzato false fatturazioni per una frode rfiscale risalente al 2003 ed emersa mel maggio 2009.
GLI AVVISI di ieri probabilmente non sono arrivati come un fulmine a ciel sereno, se è vero che un paio di mesi fa fu redatto un documento di un centinaio di pagine che spiegava ai commissari i problemi recenti dell’azienda: in nuce le questioni per le quali oggi il gruppo degli otto è entrato nel registro degli indagati. Insomma, questioni note che non sono scoppiate dall’oggi al domani, ma che affondano le radici nella storia di un’azienda che ha raggiunto vette sfavillanti, prima di cadere nella polvere. Quell’azienda che si fregiava di essere sponsor di Miss Italia, che sarà nazional-popolare ma che ben si sposava al marchio Sasch, dopo la nascita alla fine degli anni Ottanta nell’alveo di quel gruppo Gommatex, che primeggiava nella produzione e nella lavorazione dei tessuti ai tempi delle vacche grasse per tutti.
L’AGONIA però ha attraversato uno spazio temporale più ristretto, diciamo un paio di anni. Da una cassa integrazione per un’azienda satellite del gruppo, la Mi Mill, un annuncio che però si mimetizzava nelle difficoltà mondiali. Invece il male, al di là delle congiunture sfavorevoli, stava crescendo in seno alla Sasch. E il bubbone scoppiò alla fine di ottobre 2010: si parlò di 145 milioni di euro di debiti, soprattutto nei confronti delle banche e soprattutto nei confronti di Unicredit, Banca Intesa e Monte dei Paschi, si parlò di venti negozi da chiudere per cercare di arrestare l’emorragia, ma anche di piani di rientro «già pronti». La fine sarebbe stata ben diversa, ma in effetti un tentativo ci fu. Anche più d’uno.
Che la situazione fosse pesante divenne chiaro quando, nell’estate del 2010, il manager Michele Tardi fece il suo ingresso alla guida della holding che controllava il gruppo Sasch, la Go-Fin. Si disse che era «l’uomo delle banche», colui che avrebbe dovuto trovare la difficile strada per uscire dal pantano. Eppure c’era ancora ottimismo, almeno nelle parole dette in pubblico dai vertici dell’azienda, mentre Cenni senior era impegnato in municipio, alla ricerca di defilarsi dalla sua creatura per non intrecciare la vita politica con quella imprenditoriale.
[PARAICO]MA NON PASSO’ <MC>molto tempo prima che quell’ottimismo di maniera sfumasse, anche perché ormai tutti — creditori , lavoratori, sindacati, mezzi di comunicazione — avevano capito la gravità della situazione. Nemmeno il «materasso» della procedura di concordato poté andare in porto, perché la newco Via Monteverdi non presentò l’offerta di acquisto del marchio Sasch come invece sembrava destinata a fare. Senza quella ventina di milioni di euro da immettere nel concordato, rimaneva solo una strada: il fallimento. La richiesta due mesi fa, con i libri portati in tribunale dai professionisti che i Cenni e i Giovannelli avevano scelto per cantare il De profundis alla loro azienda.
ADESSO la vicenda, inevitabilmente, imbocca il sentiero complesso della giustizia. Indagati in gruppo dal sostituto procuratore della Repubblica Eligio Paolini, dopo che della vicenda fallimento si era occupato il procuratore capo in persona, Piero Tony, insieme al presidente del Tribunale, Francesco Antonio Genovese.
Il segno che non si trattava di una procedura come un’altra.
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