Firenze, 27 giugno 2012 - «LO MANDAVAMO ai campi estivi perché facesse amicizia con altri bambini. Adesso saranno gli angeli a fargli compagnia». Stefano Lori è fermo davanti al pronto soccorso di Careggi, immobile, impietrito dal dolore. Gli occhi lucidi attraversano i ricordi dell’unico figlio, Franco, di appena 11 anni.
Dopo averlo avuto tardi, a 50 anni, il padre ha dovuto dire addio al suo ragazzo troppo presto.
Il caldo durante l’escursione alla Calvana è stato fatale per il cuore. Se n’è andato così, Franco. «Un ragazzo sano — lo descrive il babbo — che non aveva mai avuto grossi problemi di salute». L’unica preoccupazione dei genitori era che stesse troppo tempo davanti a tv e computer, invece di giocare all’aria aperta. E pensare che quel campo estivo doveva essere un modo perché Franco stringesse rapporti più stretti con i suoi nuovi amici.
Stefano e la moglie Stefania, i genitori, si erano trasferiti da circa un anno da Poggio a Caiano a Prato, nel quartiere Paperino. Franco era un ragazzo dolce e pieno di vita, ma la sua passione erano computer e calcio.
Era un grande tifoso della Fiorentina e si divertiva ad andare in camion con il babbo. Proprio sul suo tir Stefano, camionista, ha avuto la notizia dalla moglie in lacrime. «Ero in viaggio a San Vincenzo — racconta — quando mia moglie mi ha chiamato disperata. Sono arrivato qui di corsa».
Le braccia tatuate e gli occhi azzurri arrossati dal pianto: l’ultimo gesto per riavvicinarsi a Franco è stato quello di prendere la sua foto nel portafogli, custodita accanto a quella della moglie. La forza di un fisico imponente è superata da quella della grande dignità con cui Stefano porta sulle spalle il suo dolore.
I PARENTI si stringono attorno a lui, questo gigante buono, commovente, quasi a cingerlo e proteggerlo con una cintura di sicurezza. Ormai non c’è più niente da fare, il babbo dà un ultimo sguardo alla foto del suo Franco. E con un fil di voce mormora un messaggio di straordinario coraggio e generosità: «Non ho chiesto nulla ai medici, non voglio sapere niente. Ormai nessuno mi riporterà indietro mio figlio. L’unico atto d’amore per ricordarlo, adesso, è donare i suoi organi».
Laura Tabegna
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