Versilia, 12 maggio 2013 - Il progetto Comunità Aperta di Pietrasanta è diventato un punto di riferimento internazionale per l'innovativo percorso di cura e per la 'filosofia' che lo ha contraddistinto fin dal momento della sua nascita, 'filosofia' che ha dato ottimi risultati nella lotta contro la dipendenza dalle sostanze stupefacenti e i gravi problemi che ne derivano. L'idea di realizzare un centro "aperto", anziché chiudere i tossicomani che vogliono guarire dietro mura e cancelli, e l'idea di farlo nascere proprio nel cuore della Versilia, dove transitano migliaia di turisti, negli anni 80 apparve come una vera rivoluzione.
Oggi il professor Icro Maremmani , fondatore di quel progetto e docente di Medicina delle Farmacotossicodipendenze all'Università di Pisa, sollecita l'ampliamento di quella esperienza presentando un nuovo progetto: curare questo tipo di ammalati nelle loro case attraverso l'attività integrata di medico di base, medico specialista e farmacista. La proposta è stata lanciata nel corso del convegno "Global Addiction & Europad. Joint Conference 2013", che si è appena chiuso a Pisa e a cui hanno partecipato esperti provenienti da tutta Europa.
Professor Maremmani, cosa ha dimostrato l'esperienza di Pietrasanta?
"Che è possibile superare lo steccato dell'isolamento sociale che caratterizza a volte i percorsi terapeutici all'interno delle comunità di recupero e dei servizi pubblici. Una scommessa vinta sulla complementarietà fra interventi psicosociali e farmacologici, ma soprattutto sul rifiuto dell'emarginazione alla quale sono spesso sottoposti i tossicodipendenti che scelgono di combattere la loro malattia".
Ma all'inizio questo metodo fece scalpore....
"Il modello generalmente usato per il trattamento aveva ed ha il limite di separare le persone con dipendenza da sostanze stupefacenti dal proprio contesto sociale. A mio modo di vedere non è mai stato scardinato il preconcetto della 'mela marcia' che rischia di contagiare la società e che quindi va in qualche modo allontanata. Il Progetto Comunità Aperta fece scalpore perché si basava sull'idea di curare le persone laddove si drogano, per reinserire davvero il paziente nell'habitat sociale dal quale proviene e nel quale è divenuto dipendente. Non drogarsi più nel posto in cui prima ci si drogava rappresenta per noi la vera guarigione".
Cosa è cambiato dagli anni 80 ad oggi?
"La dipendenza da sostanze stupefacenti è aumentata. In Italia 172.000 pazienti sono in cura nei Sert, ma è solo una parte di coloro che avrebbero necessità di un trattamento. I dati del Dipartimento Politiche Antidroga parlano di 520.000 tossicomani . Poi ci sono tutti coloro che restano nel 'sommerso', vale a dire che non sviluppano la malattia, pur utilizzando sostanze stupefacenti. Inoltre sono cambiate anche le caratteristiche sociali dei nuovi dipendenti. Oggi questi sono più integrati di un tempo, meno 'rovinati', sono in mezzo a noi. Sono padri, lavoratori, figli di famiglie agiate e socialmente ben inserite".
Non tutti quello che assumono forti quantità di droga, dunque, diventano tossicodipendenti?
"Eroina e cocaina producono dipendenza in meno della metà delle persone che ne fanno uso. E' un problema di resistenza del cervello alle sostanze stupefacenti. Quando la resistenza è bassa si sviluppa la malattia, se è alta no, anche se indubbiamente ci troviamo di fronte ad un funzionamento peggiore".
E nei medicinali che cosa è cambiato?
"Il metadone è un farmaco efficace, ma per distribuirlo ci vogliono apparecchiature che necessitano della supervisione degli operatori. In più è appetibile sul mercato nero. Esiste però un nuovo farmaco che si assume attraverso compresse e quindi garantisce costi minori per la comunità. E' ugualmente efficace e ha minori possibilità di spaccio".
Qual è allora la sua proposta?
"Quella di far diventare la terapia per i tossicomani come tutte le altre terapie. Ciò significa rivolgersi prima dal medico di base, il quale potrà prescrivere dei farmaci oppure, nei casi più gravi, inviare dallo specialista. Tutto questo continuando a vivere in casa propria. Così come il cardiopatico, anche il tossicodipendente ha il diritto di vivere la sua vita. Sarebbe un ulteriore passo avanti contro la ghettizzazione di questi pazienti rispetto al progetto stesso della Versilia, i cui abitanti hanno già ben capito come un minore isolamento produce un reinsermento vero e quindi minore criminalità"
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