Perugia, 25 maggio 2010 - "Ricordo che il mio convivente si presentava (nella stanza di ospedale, ndr) alle 17.30 piangendo e dicendomi che i bambini non stavano bene e quindi li avevo persi. Capivo che avevo perso i bambini da quello che mi aveva detto il mio convivente. Faccio presente che pur non capendo bene la lingua italiana sono in grado di capire il senso di un discorso e quando avrei capito, se qualcuno lo avesse detto, che i bambini stavano male e quindi avrei dovuto abortire. Credo che il mio convivente sia stato d’accordo con i dottori dell’ospedale per farmi abortire. Dico anche che il mio convivente non voleva che io portassi avanti la gravidanza in quanto prima di questi fatti mi diceva che non voleva bambini".
È in un pezzo di carta lo strazio di M., l’albanese di 24 anni che ha denunciato di essere stata sottoposta inconsapevolmente all’aborto dei suoi gemelli. Dietro a un freddo verbale di sommarie informazioni c’è il rammarico di una donna alla quale è stato negato di diventare mamma. Un fatto per il quale il medico, il dottor Michele Saporito, è indagato insieme al marito convivente della donna, Ljatif Miftari nell’ambito dell’inchiesta dei militari della salute che hanno contestato ad alcuni operatori sanitari anche l’accusa di peculato per aver prelevato dall’ospedale presidi medici poi ceduti o rivenduti al dottor Saporito.
Mersida racconta in particolare di essere rimasta incinta i primi giorni di novembre 2008 e di essere stata visitata per la prima volta il 17 gennaio 2009. In quell’occasione spiega che "i dottori asserivano che andava tutto bene". Il successivo 27 gennaio però il marito la riporta in ospedale "mi aveva detto che dovevo fare una seconda visita di controllo". Ma i dottori le dissero che non doveva mangiare nulla e la fecero stendere su un letto, assegnandole una stanza. Ad un certo punto però la vanno a prendere: "Mi portavano in un’altra stanza dove mi facevano distendere e mi inserivano un ago nel braccio sinistro per anestetizzarmi. Alle 10 mi svegliavo che ero ancora nel dormiveglia". E senza sapere che non c’era più vita dentro di lei.
"Alle 16 — racconta ancora — veniva un dottore che mi faceva un’altra puntura e dopo due ore mi faceva uscire". Secondo i carabinieri del Nas la giovane donna è stata costretta ad abortire contro la sua volontà perché non conosceva la lingua italiana e quindi le è stato fatto firmare il consenso informato senza l’ausilio di un interprete. Ma quello di Mersida non sarebbe l’unico aborto clandestino che viene imputato al dottor Saporito. C’è anche la vicenda di una donna alla quale sarebbe stato consigliato di recarsi al pronto soccorso lamentando perdite di sangue per poter praticare l’interruzione di gravidanza, senza l’osservanza delle modalità previste dalla legge di un’altra ragazza straniera che fu fatta abortire senza aspettare i sette giorni previsti. Quest’ultimo caso è stato ricostruito grazie alle intercettazioni telefoniche sulle utenze fisse e cellulari del medico inquisito.
La telefonata è del 18 settembre 2009 quando Saporito chiama il reparto di ginecologia dell’ospedale di Castiglione del Lago dove lavora e chiede "un’interruzione di gravidanza urgente... poi la visita anestesiologica poi la pigliamo di là... urgente... lei è dodici... è dodici settimane e sei giorni". Poi il medico si corregge: "No, aspetta con la storia che non si ricorda quando ha avuto le mestruzioni... però con l’ecografia è nove settimane e cinque giorni". Dalle telefonate spiate emerge uno spaccato sociale di continui ricorsi al professionista da parte di donne ma anche e spesso mariti e fidanzati o amanti che chiedono di praticare subito un’interruzione di gravidanza.
© Riproduzione riservata