Massarosa (Viareggio), 16  maggio 2013 - COME Forrest Gump non poteva fermarsi mai. Doveva pedalare, pedalare e ancora pedalare. Questo era il destino che Mauro Talini aveva ritagliato per se stesso. Migliaia e migliaia di chilometri macinati sotto il sole o con la neve, al caldo e al freddo, nell’estremo nord o nel sud più profondo. Pedalare all’infinito per dimostrare che il diabete, contro cui combatteva da quando aveva 11 anni, poteva essere sconfitto. E che si poteva condurre una vita normale.

La sua vita non l’ha spezzata il diabete. Ma un camion su una stradina polverosa del Messico che il ciclista massarosese stava percorrendo per portare a termine l’ultima delle sue imprese. Anzi, l’impresa delle imprese. Percorrere tutte le Americhe dalla terra del fuoco, la Patagonia in Argentina fino ai ghiacci sterminati dell’Alaska. Era partito il primo gennaio. Avrebbe percorso i 25 mila chilometri previsti dal piano di viaggio a luglio. Ma si è fermato in Messico in prossimità della cittadina di Trincheras.

Il suo corpo riverso a terra con le sue poche cose che si portava dietro sparpagliate attorno a lui. Come la sua amata bici. Era stato travolto dal camion lunedì pomeriggio, ma solo ieri mattina le autorità messicane, tramite l’ambasciata, sono riusciti a mettersi in contatto con la famiglia a Quiesa.
Aveva 40 anni Mauro Talini. Da quando ne aveva 11 era insulino dipendente. E’ cresciuto con un solo obiettivo: dimostrare al mondo che il diabete non può e non deve essere un ostacolo per vivere un’esistenza normale. E Mauro aveva un solo modo per dimostrarlo, quello di correre in bicicletta, la sua grande passione.

Da alcuni anni a questa parte ha dato vita a imprese che sono rimaste nella storia. In Italia e all’estero. Correndo sempre in solitario. Lui e la sua bicicletta. «A fianco con me — ci aveva detto alla vigilia della partenza per l’America nel dicembre dello scorso anno — c’è sempre Dio». La sua fede incrollabile gli permetteva di vincere tutte le paure. Di partire da solo, di dormire in tenda nei posti più sperduti, di affrontare fatiche sovraumane. «Non è una pazzia — aggiungeva — cerco solo di dimostrare che la persona che deve convivere con il diabete può continuare a fare sport». E a conoscere persone speciali, come il presidente del Brasile Lula. «Stringergli la mano — diceva — è stata un’emozione speciale».

Ogni sua impresa aveva anche un fine umanitario. Raccoglieva fondi per le associazioni onlus coinvolte nelle iniziative. In questo caso aveva sposato i progetti di cooperazione internazionale rivolti per lo più ai bambini dell’America Latina sostenuti e portati avanti dai centri di accoglienza gestiti dalle suore missionarie dell’Immacolata di padre Kolbe. Ora che un anonimo camionista ha spezzato i suoi sogni e la sua giovane vita, resteranno di lui i messaggi di speranza che ha saputo lanciare a tanti diabetici come lui e le tante opere di beneficenza e solidarietà che sono state realizzate grazie ai fondi che ha saputo raccogliere.
Il nostro Forrest Gump della bicicletta si è fermato, ma la sua battaglia andra avanti. per sempre.
Paolo Di Grazia