SILVIA BARDI
Cosa Fare

I Miserabili aprono la stagione del Petrarca: romanzo epico con Branciaroli

L'eterna lotta tra bene e male, tra condanna e riscatto, tra "invisibili" e società borghese in uno spettacolo che annulla la distanza tra la Francia dell'Ottocento raccontata da Victor Hugo e l'oggi

Branciaroli in "I miserabili"

Arezzo 14 novembre 2018 - Un vescovo che gli “compra l’anima” salvandolo dai gendarmi che lo hanno catturato mentre scappa con l’argenteria, e anzi ci aggiunge due candelabri. Un regalo grazie al quale però dovrà abbandonare la via del male e imboccare quella del bene. Lui, Jean Valjean, da ex galeotto diventerà monsieur Madeleine il sindaco buono di Montreuil sur mer che avrà nel commissario Javert il suo principale nemico. Il poliziotto tutto regole e codice, senza umanità, convinto che la bontà non può avere la meglio sulla giustizia, che chi è ultimo tale deve rimane nella società, che chi è stato galeotto non potrà mai riscattarsi. Il romanzo epico de “I Miserabili” di Victor Hugo continua ancora oggi a provocare il dibattito tra bene e male, umanità e giustizia, amore e odio. Così come la sua trasposizione teatrale affidata ai protagonisti Branciaroli/Valjean e Francesco Migliaccio/Javert, al regista Franco Però e allo sceneggiatore Luca Doninelli che ha dovuto condensare un romanzo di millecinquecento pagine in uno spettacolo teatrale di tre ore andato in scena martedì sera al teatro Petrarca come primo appuntamento della stagione di prosa aretina e con replica stasera mercoledì 14 novembre.

Qualche posto vuoto in platea, forse qualche spettatore impaurito dalla lunghezza della pièce, “tre ore compreso l’intervallo” come comunicano diligentemente all’ingresso, per una immersione in un romanzo storico, diremmo epico, che copia qualche battuta alla politica attuale “da oggi cambia tutto” assegnata all’ispettore/commissario che senza pietà non ammette che la giustizia possa anche essere buona. E il tema dell’amore come filo rosso: Jean Valjean diventato un rispettato e amato sindaco rivela di essere un galeotto per un uomo che rischia di essere condannato al suo posto, adotta Cosette la figlia di una prostituta a cui aveva fatto una promessa sul letto di morte, che aiuta sempre gli ultimi anche contro la legge, non ucciderà il suo nemico Javert e morendo dirà alla sua Cosette e al suo Marius “Amatevi tanto, sempre; al mondo non v’è nulla, all’infuori dell’amore”. E’ mezzanotte e mezzo quando il sipario si chiude ma il pubblico richiama la compagnia più e più volte.

A salutare tornano Alessandro Albertin, Silvia Altrui, Filippo Borghi, Romina Colbasso, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Andrea Germani, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Jacopo Morra, Maria Grazia Plos, Valentina Violo. Per Branciaroli la conferma di un attore carismatico a cui si perdona qualche svista che la voce bassa e potente fa dimenticare subito in un ruolo che spicca, quasi sopra le parti, paterno nei confronti dell’umanità intera, un “dio” terreno di cui si ha ancora tanto bisogno, «uno strano santo – come lo definisce lo stesso Branciaroli – una figura angelico-faustiana. Il ritratto di un’umanità che forse deve ancora venire». Una impostazione classica, da maestro, che fa da contrappunto alla vivacità dei ragazzi che danno voce ai giovani della Rivoluzione Francese, e delle donne in scena, come Silvia Altrui nel doppio ruolo di Cosette bambina e del monello/eroe Gavroche, di Ester Galazzi che interpreta Fantine e Baptistine, di Valentina Violo/Eponine, Federica De Benedittis/Cosette adulta e Maria Grazia Plos/Madame Thenardier e Magloire.

Un cast che si muove sapientemente su una scenografia minimale e possente allo stesso tempo, giganteschi pannelli grigi come in uno sceneggiato in bianco e nero, che gli stessi attori spostano snei cambi di scena. Un tavolo, due sedie, un letto, il resto degli arredi. Perché quello che conta è la storia di questi eterni personaggi.