Areazzo, 5 ottobre 2012 - «DISABILI SONO LE CITTÀ, non le persone». L’ho capito dopo una giornata passata con una diversamente abile. Una giornata vista dal basso (di una carrozzina) quella di Adriana Grotto (nella foto), costretta su una sedie a rotelle praticamente da una vita. Volevamo capire, ma capire seriamente, cosa volesse dire affrontare ogni giorno la città stando là seduti. Gradini che diventano altipiani da scalare, parcheggi selvaggi sui marciapiedi che si trasformano in confini invalicabili.

Non sembra da quassù, dall’alto delle nostre gambe, ma ci sono città non in grado di offrire servizi adeguati, non solo ai disabili, ma anche a mamme con le carrozzine, a normodotati con stampelle, ad anziani con difficoltà a deambulare. Siamo entrati nella vita di Adriana, in punta di piedi abbiamo voluto passare con lei qualche ora in centro. In giro per negozi, si fa per dire, e una passeggiata approfittando della bella giornata. Cosa c’è di più semplice? Apparentemente niente.

PARTIAMO da via Vittorio Veneto, con i suoi marciapiedi nuovi di zecca, in cui il Comune ha messo mano appena 2 anni fa. Pavimentazione nuova, lampioni nuovi. Ecco, i lampioni. Adriana ci fa subito notare che la loro forma, di design non c’è che dire, non ha tenuto però conto che di lì ci potrebbero passare anche delle carrozzine. Il corpo del lampione incurvato verso l’interno del marciapiede può essere un pericolo per chi viaggia su quattro ruote, seduto proprio all’altezza del «rigonfiamento». Qua, nella via di ingresso alla città, iniziamo a far conoscenza con quelli che per tutto il giorno saranno scomodi compagni di viaggio: i gradini, sono ovunque. «Il 98% delle attività ne è dotato» - ci spiega Adriana - «e in quelle io non posso entrare».

La nostra passeggiata continua in Corso Italia, nella parte bassa, dove ci imbattiamo in una sfilata interminabile di gradini, ce ne sono di tutte le misure. Alcuni esageratamente alti anche per gli anziani. Solo in pochissimi esercizi Adriana potrebbe entrare, là dove i datori hanno provveduto ad attrezzarsi con degli scivoli. Giriamo per via San Giovanni Decollato, l’ultima strada del centro sistemata, in ordine di tempo. «Peccato che durante i lavori abbiano abbassato il livello della strada così da far alzare automaticamente quello dei gradini di entrata negli esercizi». Qui in effetti sembra una gara al gradino più alto, a suon di «vertigini».

Nella via incontriamo alcuni negozianti. Tutti solidali con la causa di Adriana, e tra loro c’è anche chi alza un po’ più la voce. Il proprietario del negozio Imbriani: «E’ una inciviltà. Come è possibile che nei parchi divertimento di Orlando in Florida il 98% dei giochi può essere fatto anche da invalidi e ad Arezzo non riusciamo a sistemare i gradini per far semplicemente entrare una carrozzina in un negozio?»

DUE SONO le responsabilità da distinguere caso per caso. Una amministrativa, là dove il Comune non provvede e poi quella privata, la sensibilità di ognuno. Qualcuno in effetti c’è che ha provveduto a posizionare uno scivolo davanti alla propria attività, chi ha ottenuto il permesso.

Ma oltre le barriere architettoniche, la prima più massiccia barriera è rappresentata dalla inciviltà che regna in città. Ce n’è per tutti i gusti. Parcheggi per disabili spesso occupati dalle auto di persone normodotate. Scivoli per disabili ostruiti con soste selvagge. Marciapiedi assai spesso utilizzati per parcheggiare bici e motorini.
Abbiamo passato qualche ora con Adriana, è tempo di saluti. Grazie a lei abbiamo capito che per costruire una città a misura di disabile servono due rivoluzioni, una è quella strutturale, l’altra, la più importante, è quella culturale.

di GAIA PAPI