
di Erika Pontini
Il nastro adesivo in bocca e a legare i polsi, sei coltellate tra il collo, l’addome e le braccia per difendersi, una furia omicida durata 45 interminabili minuti, il movente della gelosia e dell’abbandono del tetto coniugale ma, alla fine, l’attimo di resipiscenza e l’allarme lanciato ai soccorritori che gli sono valsi lo sconto sulla pena. Giuseppe Marri, 50 anni, ex ristoratore originario di Badia Prataglia è stato condannato a 8 anni di reclusione dal giudice per l’udienza preliminare Giulia Soldini all’esito del processo che si è svolto con il rito abbreviato, per aver tentato di uccidere la moglie di 41 anni il 31 maggio del 2021.
Il giudice ha così accolto in pieno la richiesta avanzata dalla procura di Arezzo, rappresentata in aula dal procuratore Roberto Rossi che, nel calcolo della pena, era ‘partito’ dallo scalino più alto, 21 anni di reclusione, a fronte della riscontrata ferocia e violenza consumata, come ha spiegato durante la requisitoria. Lo sconto di un terzo dovuto alla scelta del rito, le aggravanti del coniugio ritenute equivalenti all’attenuante dell’incesuratezza e il riconoscimento del ‘recesso attivo’ nella condotta hanno fatto sì che la condanna definitiva arrivasse a 8 anni che, di fatto, Marri sta già scontando agli arresti domiciliari in una comunità religiosa in Valdarno. Lontano dal Casentino dove non ha più una casa, né una famiglia. Anche se, almeno formalmente, è ancora sposato con la donna che, secondo l’accusa, tentò di uccidere. Quella maledetta sera, in una situazione di degrado familiare, alcol e continue liti, la donna stava facendo le valige dopo essere già andata a vivere dai genitori. L’ennesima discussione, per l’accusa, scatenò la rabbia di Marri.
Ieri mattina erano entrambi in aula: l’imputato, assistito dagli avvocati Anna Lisa Tafi e Federico Mattesini e la donna con il legale di parte civile, l’avvocato Mazzi. Il gup non ha ritenuto di assegnare una provvisionale immediatamente esecutiva: il danno sarà liquidato in sede civile.
Nell’agosto scorso a Marri vennero concessi gli arresti domiciliari dopo l’interrogatorio in procura, in cui spiegò di non aver mai voluto uccidere la donna (avrebbe avuto un coltello più grande a disposizione), in seguito all’iniziale scelta del silenzio. A pesare contro l’imputato le dichiarazioni della vittima che ai carabinieri raccontò un’ora di calvario in casa, prima legata, poi accoltellata e infine adagiata ferita e sanguinante sul letto quando lei stessa - disse agli investigatori - supplicò il marito di non farla morire in terra. Fu il vicino di casa a raccontare poi della paura di essere arrestato di Marri che, una volta resosi conto di ciò che aveva fatto, chiamò i soccorsi. La 40enne fu portata in ospedale a Careggi ma non in pericolo di vita. Differente la versione difensiva: i legali dell’imputato, in una memoria al giudice, avevano chiesto di riconoscergli la desistenza volontaria che avrebbe comportato un’imputazione per lesioni dolose e quindi una condanna meno severa. Ma il giudice non ha ritenuto di accogliere questa ricostruzione: l’utilizzo di un coltello, i sei colpi inferti e i legacci erano idonei, a farlo morire. "Aspettiamo le motivazioni ma pensiamo all’appello", hanno spiegato i legali dell’imputato.