
di Gaia Papi
Avevano vent’anni quando vennero accusati di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Un’accusa pesantissima, per la quale rischiavano dai 10 ai 15 anni di carcere. Invece, oggi, dopo 16 anni di udienze, e anni in cui quei ragazzi sono diventati uomini, è arrivata l’assoluzione.
A distanza di 16 anni, quattro aretini, ormai padri di famiglia, sono stati assolti dall’accusa dopo aver sostenuto un processo nell’aula bunker del tribunale di Palermo e poi un procedimento presso il tribunale di Napoli.
La storia ha radici lontane. I quattro si trovarono coinvolti in quella che le forze dell’ordine avevano chiamato "Operazione Calabrone", una vicenda che fece scalpore in tutta Italia. A processo finirono in 54, originari di Palermo e Napoli, indagati per uno spaccio di stupefacenti, con la cocaina che arrivava dalla Campania per poi essere smerciata in varie parti d’Italia.
Tra le zone della penisola in cui arrivava e veniva smerciata la droga c’era anche Arezzo. Traffico su cui gli inquirenti aretini avevano messo gli occhi da tempo. Le indagini avevano preso il via da mesi, in campo anche le intercettazioni telefoniche.
Era il 2 ottobre 2006, proprio da alcune intercettazioni sul numero di un presunto trafficante partenopeo emerse che in quel giorno era in arrivo ad Arezzo un carico di stupefacente. Era l’occasione buona per stroncare quell’odioso traffico.
La polizia stradale di Battifolle, in A1 si mise ad "attendere" l’auto segnalata. Intercettata, fermata venne perquisita. Era l’auto "buona". Spuntarono 200 grammi di cocaina, sostanza che sarebbe arrivata dritta dritta in città. Quel giorno i quattro se lo ricorderanno a lungo, partivano le indagini su di loro, la loro vita stava precipitando.
Sì, perché quelle stesse intercettazioni cominciarono a svelare strani movimenti dei ventenni. Furono quelle, più che il sequestro di cocaina, a complicare le loro vite. Ascoltando le telefonate di un membro dell’organizzazione gli inquirenti arrivarono fino alla provincia di Arezzo, da lì ai quattro.
In un istante si trovarono imputati in un maxi processo dalla risonanza nazionale. I loro nomi finirono accanto a quelli di spacciatori professionisti, alcuni dei quali, nel tempo, accusati e ai quali i giudici hanno inferto pene severe.
Gli anni passavano e le udienze si susseguivano, alcune si tennero anche a Napoli perché, per una questione di competenza territoriale, il procedimento venne spostato fino in Campania.
I difensori, gli avvocati Filippo Alberti, Osvaldo Fratini, Piero Melani Graverini e Alessandro Serafini, con il tempo sono riusciti a trovare testimoni che hanno raccontato come i quattro ragazzi all’epoca dei fatti fossero assuntori di cocaina. Testimonianze che sono state in grado di capovolgere l’impianto accusatorio. La sentenza, ieri. Dopo sedici anni è stata un’assoluzione "per insufficienza di prove". Che in realtà è l’assoluizione in base al secondo comma dell’articolo 530, che viene generalmente equiparata alla vecchia insufficienza di prove.