Salvatore Mannino
Cronaca

Addio a Renzino, è stato il cuore della memoria divisa: aveva quasi 100 anni

L'irruzione dei suoi partigiani fu legata alla strage di Civitella. Medaglia al valor militare, era divenuto il simbolo della Resistenza aretina

Edoardo Succhielli

Arezzo, 26 gennaio 2018 - Con lui, morto quasi centenario, se ne va il cuore della Memoria Divisa di Civitella, quel sottile discrimine che per decenni ha scavato un muro invalicabile tra i sopravvissuti e gli eredi delle 250 vittime del massacro nazista da una parte e la tradizione ufficiale della Resistenza dall’altra. Solo negli ultimi anni c’era stato un riavvicinamento e la figura di Edoardo Succhielli, capo partigiano, numero uno della banda Renzino, sindaco di un dopoguerra quantomai contrastato.

Ormai quella che a lungo è stata la piaga purulenta di un paese spaccato è consegnata alla storia. Una ferita che trae origine dalla sera del 18 giugno 1944, undici giorni prima della strage. Quella notte Succhielli e alcuni partigiani della sua banda fanno irruzione nei locali del dopolavoro di Civitella, lungo il colonnato che sta a lato della via principale del paese. Lo scopo era probabilmente disarmare i quattro soldati tedeschi all’interno, procurarsi i fucili di cui la banda ancora scarseggiava.

E invece ecco il patatrac. Perchè i militari in divisa nazista reagiscono, i partigiani sono costretti ad aprire il fuoco. Due tedeschi muoiono subito, uno viene ferito, il quarto riesca a scappare, caricandosi sulle spalle il commilitone in gravi condizioni, che morirà il giorno dopo a Firenze. Il paese si svuota in poche ore, tutti temono la rappresaglia. Invece per quasi due settimane non succede niente.

E solo quando la gente è già rientrata nelle proprie case, nel giorno di San Pietro del 29 giugno, ecco che gli aguzzini della divisione Hermann Goering lo circondano e lo mettono a ferro a fuoco, con un bilancio di morti che fa dell’eccidio il più grave fra quanti avvenuti nell’aretino e uno dei peggiori mai accaduti in tutta Italia. C’entra qualcosa l’irruzione del 18 giugno? Per una vita la comunità civitellina ne è stata convinta, tramandandone il racconto orale di generazione in generazione. In realtà, forse undici giorni di distanza sono troppi per parlare di rappresaglia, forse l’azione partigiana (comunque sconsiderata perchè metteva a rischio gli abitanti minando il rapporto Resistenzapopolazione civile) fu solo uno dei motivi, nemmeno il principale, che indussero i tedeschi a scegliere Civitella per scatenare il terrore contro i civili.

Eppure la Memoria Divisa raccontata in un libro famoso di Giovanni Contini sta tutta lì. Con il suo lascito velenoso nel dopoguerra. Nel 1950, dopo un articolo di Succhielli, i discendenti delle vittime risposero con un loro intervento che accusava pesantemente «Renzino» e i suoi. Lui querelò e vinse in tribunale, con l’unico effetto di rendere il muro ancora più spesso. Nel frattempo, correva il 1951, l’ex capo partigiano, che viveva in basso, a Tegoleto, era stato eletto sindaco di una giunta di sinistra cui il prefetto dell’epoca fece apertamente la guerra, fino a far trasferire Succhielli, dipendente di un ente pubblico, addirittura a Sondrio.

L’«esilio» sarebbe finito solo nel 1961, ma ci sarebbero voluto altri 40 anni prima che arrivasse il disgelo fra «Renzino» e i civitellini, in occasione di una messa in suffragio della strage, nel luglio 2010. «Abbiamo fatto pace con i tedeschi – disse allora la portavoce della comunità Ida Balò - non vedo perchè non potremmo farla con lui». Succhielli, classe 1919, era diventato partigiano dopo l’8 settembre in cui aveva gettato alle ortiche la divisa da parà.

Aveva data vita a una banda che agì in Valdichiana, soprattutto fra Monte San Savino e Civitella. Epici alcuni scontri con i tedeschi, come quello di Montaltuzzo, il 23 giugno 1944. La sorte gli ha consentito di vivere finchè il muro della Memoria Divisa, durato più a lungo di quello di Berlino, non si è finalmente sgretolato.