Le importava poco se per la morte del marito ha ricevuto per anni dall’Enpals, l’ente previdenziale del mondo dello spettacolo, poco più di 300 euro al mese. Le importava parecchio che quella morte non fosse archiviata come fatalità. "Me lo ha ucciso il calcio" ripeteva sempre, con la grinta di una donna abituata a combattere. E che ha combattuto fino all’ultimo respiro, quello che le è mancato ieri: se ne è andata Gabriella Bernardini, 78 anni, l’orgogliosa moglie di Bruno Beatrice. Una vita all’attacco lei, una vita da mediano lui, di quelli che fanno la differenza: scomparso presto, a 39 anni, nel dicembre del 1987. "Giustizia per Beatrice". È il manifesto che ieri è stato srotolato al Palazzo della Regione, davanti ad amministratori e grandi giocatori: una cerimonia che si è incrociata con la fine di Gabriella. Lo striscione con il suo volto nel dicembre 2018 ondeggiava sopra la curva Fiesole. Quel volto con il profilo da gladiatore, o da "Indiano" come lo aveva ribattezzato Gigi Radice, spezzato dalla leucemia. "Lo hanno ucciso con i trattamenti per rimetterlo in campo prima". Rimettendo a posto una libreria le era caduto un volume, "Cavie umane": collegava la leucemia alle radiazioni Roentgen. Radiazioni che Bruno aveva subito. La battaglia era nata da lì.
"Me lo hanno rovinato": tenace, Gabriella per 38 anni ha tenuto viva la questione, affiancata dai figli Alessandro e Claudia. Arrivò fino al procuratore Guariniello, celebre per le indagini nello sport. E a far aprire un’inchiesta guidata dal Pm fiorentino Luigi Bocciolini. I Nas alla Fiorentina portarono via volumi di trattamenti medici. Si arrivò alla chiusura indagini a carico di medici e di una delle figure più popolari del calcio, Carletto Mazzone. "Ho ancora la lettera - spiegava - che gli prescrivevano per la pubalgia riposo e impacchi caldi. Invece per tre mesi si ritrovò sotto i raggi Roengten". Quella di Beatrice era stata solo la prima morte anomala. "Bruno faceva flebo enormi, impiegava ore ad assorbirle. La domenica sera sussultava come colpito da scariche elettriche". L’inchiesta era finita in un’archiviazione. Gabriella non avrebbe mollato mai. Due anni fa il Consiglio regionale aveva ideato una Commissione parlamentare di inchiesta. Trentotto anni dopo quel 16 dicembre 1987 nel porto delle nebbie c’è una famiglia all’attacco. "Se hai problemi il calcio ti abbandona. Sono rimasta sola, evitata come la peste". Eppure ieri ci sarebbe stata anche lei in Regione, sotto lo striscione. Fiera di non essersi arresa. Fiera di rivedere il volto da gladiatore del suo Bruno.
Lucia Bigozzi