LUCIA BIGOZZI
Cronaca

"Addio amico da 60 anni". Giovannetti nel racconto di chi lo ha conosciuto. Oggi la cerimonia solenne

Vaccari commosso: "Figura decisiva negli anni in cui la chiesa rifioriva". Prete del concilio, la spinta ai giovani, sguardo acuto, grande ironia. "Da vescovo mi invitò a Fiesole: guarda, disse, ho Firenze sotto i piedi".

"Addio amico da 60 anni". Giovannetti nel racconto di chi lo ha conosciuto. Oggi la cerimonia solenne

"Addio amico da 60 anni". Giovannetti nel racconto di chi lo ha conosciuto. Oggi la cerimonia solenne

Una grande vita oltre la tragedia. Una vita salvata alle armi naziste e che lui ha saputo valorizzare. Luciano Giovannetti è lì, nella cappella della Madonna del Conforto, dove tante volte nei suoi 90 anni si era raccolto in preghiera. E oggi in Cattedrale riceverà il saluto commosso della sua Diocesi, prima di partire per Fiesole, dove saranno celebrati i funerali solenni e dove sarà sepolto, nel cuore di un’altra Cattedrale. Ma è il Giovannetti vivo che la gente ricorda con emozione. "Ci siamo conosciuti, stimati, apprezzati per 60 anni: sarò grato in eterno a don Luciano". Lo racconta Franco Vaccari, presidente di Rondine: dice don Luciano, perché sotto il titolo di vescovo batteva il cuore di un prete. "Lo avevo conosciuto nel ’68, era rettore del Seminario: gli anni emozionanti successivi al Concilio, che per lui era stato pane quotidiano". Anni di una chiesa diversa, tra i contrasti di una stagione e insieme una "primavera" quasi a sorpresa. "Frequentavamo la comunità di don Sergio Carapelli" e nel racconto un’altra figura mitica di quegli anni riprende il suo posto, anche se scomparsa da qualche mese. "Le grandi discussioni, prima da liceali, poi da universitari: ma da lui raccoglievi sempre un sostegno, una parola di incitamento". Per la comunità parrocchiale di piazza Giotto, poi per l’esperienza di Rondine. Il taglio concreto, paterno, appreso nella sua Civitella, anche da chi in quella strage aveva perso la vita. Il fatto che don Luciano sia morto proprio nell’ottantesimo anniversario di quel 29 giugno ha il sapore dell’abbraccio alle vittime di quelle ore, oppure del segno che attraversa i tempi. "Un’intelligenza vivissima, uno sguardo acuto, la capacità di andare oltre le regole" racconta Vaccari, raccogliendo la memoria sua e di tanti dei giovani di allora. E che oggi alle 15.30 si raccoglieranno intorno a lui, per un ultimo saluto. "Era un uomo che sapeva ascoltare gli altri in maniera unica, se necessario senza orari: le nostre chiamate telefoniche fiume fino a mezzanotte e oltre restano indimenticabili. Curioso e con un senso dell’umorismo straordinario". Non mancano gli aneddoti. "Quando è diventato Vescovo di Fiesole mi invitò ad andarlo a trovare, su quella collina unica: vedi, mi disse, sono l’unico ad avere Firenze ai suoi piedi". Un aiuto per il primo incarico di insegnante di religione, poi il matrimonio. "Sa, se non lavoro non posso sposarmi – gli dicevo – e lui pronto: perché, il matrimonio è un lavoro, una laurea?". Poi l’esperienza di Rondine, con Vaccari a portarsi dietro il suo sostegno. "È una profezia, non devi arretrare mai".

Lui non ne ha mai avuto intenzione ma perdere quell’amico e quel compagno di strada gli pesa. Come pesa ai giovani che ha tirato su al seminario, ai tanti preti, al vescovo Andrea che ne ha potuto condividere solo in parte il cammino, alla gente di Civitella. Per loro, soprattutto per loro, era un simbolo: il simbolo che dal profondo dell’orrore può nascere un fiore. Un fiore di novant’anni.