Arezzo 23 ottobre 2019 - Ci sono voluti quattordici per creare la prima bottiglia di vino etrusco. Anni di studi, prove, tentativi e soprattutto permessi sanitari che tardavano ad arrivare. Sì perché la tecnica è antica e inusuale, di duemilacinquecento anni fa, vino fermentato (e non affinato) da uno a quattro anni direttamente in orci di terracotta artigianali coibentati con cera d’api e sprofondati tre metri sotto terra in una collina dove, sempre come ai tempi andati, si alternano filari di vigneti e di ulivi. Un paesaggio tipicamente toscano, naturale, quasi un giardino con quelle bocche d’orcio che sbucano dal terreno e che è valso al suo creatore il premio Unesco per il paesaggio. Tutto nasce nell’azienda agraria bio Tarazona Miriam di Antria di Francesco Mondini, che poi quel vino è riuscito a farlo e a berlo, anche se le sue bottiglie sono preziose come pezzi da museo. Dalla cantina Rasenna In Tuscany escono i vini Album, scritto da destra a sinistra proprio come le iscrizioni etrusche, il Vinum che matura sotto terra per un anno di cui si producono solo 500 bottiglie, e la preziosa riserva Nerum in anfora da 2 litri in porcellana fatta a mani e decorata in oro, che di anni deve aspettarne quattro.
“Sì, la mia è una cantina naturale interrata - spiega Francesco Mondini in questi giorni impegnato a coibentare con la cera d’api, di sua produzione anche questa, le giare - ho fatto tante prove anche con l’aiuto di un geologo per capire se fosse realizzabile è così qui ad Antria è nata una collina scenografica. Sotto tre metri di terra non c’è ossigeno, la temperatura è costante, ci sono buio e silenzio. Ho fatto studi e partecipando a un convegno a Villa Giulia a Roma parlando con gli archeologi ho saputo che questo sistema esisteva. La differenza sta nello spessore dell’orcio, se è di 4/5 centimetri la terracotta sotto terra beve e si sciupa, i romani infatti usavano quelli più spessi dai 12 ai 15 centimetri che con il tempo otturavano i pori e diventavano impermeabili. Io li coibento con cera, tutti gli anni, e il vino assorbe tutti i sapori e i profumi”.
Sono orci artigianali fatti a mano commissionati da Mondini a Gino Vadi e alla sua azienda cortonese di Ronzano, che sempre zona etrusca è. La tecnica è naturale, biologica, anche nella struttura paesaggistica: “La fermentazione dell’uva avviene su orci coibentati, in cantina su orci aperti - fa sapere Mondini - dopo quindici giorni si mette tutto sotto terra nella colonia degli orci per un anno, o due anni o quattro anni. Ho mille viti su duemila metri quadrati, alcune sono molto vecchie, così vecchie che l’Istituto sperimentale di selvicoltura non è stato in grado di indentificarle, hanno dai 100 ai 150 anni, consono anche quelle che mio nonno ha piantato settanta anni fa ora trasformate in porta innesti. Ora si usa monocoltura, ma ai tempi antichi si mescolavano sangiovese, canaiolo, ciliegiolo, passerina, albana, trebbiano malvasia. La prima bottiglia è uscita nel 2015, la prima vinificazione nel 2001, ho aspettato 14 anni che la Asl concedesse i permessi, dopo 14 anni me lo sono bevuto”. Il successo è arrivato. L’anfora da due litri del Nerum, un pezzo da museo, è infatti al British di Londra in attesa di essere esposto e venduto all’asta, la Brexit purtroppo ha fermato l’iter. E la prima vetrina è stata il Vinitaly a Verona.
E di pochi giorni fa il riconoscimento dell’Unesco, il primo premio del concorso nazionale ed internazionale “La fabbrica nel paesaggio”. Il motivo? “Per la tutela, anzi il miglioramento del paesaggio naturale e culturale, nel rispetto delle vocazioni territoriali, avendo garantito un’alta qualità estetica dell’intervento e dimostrando la capacità di costruire un modo colto e al tempo stesso produttivo il proprio luogo di lavoro. Grande attenzione è riservata inoltre all’equilibrio dell’ecosistema tradotto in un paesaggio al tempo stesso poetico e ricco di memoria”. “Mondini ha inseguito per più di vent’anni un sogno ricreare nella terra degli Etruschi il modo in cui i nostri illustri progenitori producevano il vino - spiega Luigina Besi presidente Unesco Arezzo che ne ha sostenuto la candidatura - con l’aiuto di archeologi e e basandosi sulle conoscenze della viticoltura tramandate dal padre e dal nonno ha abbellito le sue colline riprendendo l’uso atavico di alternare filtri di viti e filari di ulivi scavando dolcemente il suolo per interrare gli orci artigianali, di terracotta. Chi vede la sua opera se ne innamora”. Un riconoscimento, quello dell’Unesco, che premia “la tutela, anzi il miglioramento del paesaggio naturale e culturale, nel rispetto delle vocazioni territoriali, dimostrando la capacità di costruire un modo colto e al tempo stesso produttivo il proprio luogo di lavoro, un paesaggio al tempo stesso poetico e ricco di memoria”.