GAIA PAPI
Cronaca

"Alcol e droga da quando aveva 14 anni", la mamma disperata: "Qualcuno mi aiuti"

"Questa non è vita"

Alcol

Arezzo, 4 novembre 2021 -  E’ un grido di dolore e rabbia quello di Grazia, aretina 67 anni, mamma di tre figli. Una di 29 anni si è persa nel tunnel della droga e dell’alcol ancora bambina. «Darei la mia vita se servisse a salvare mia figlia, ma ho bisogno che qualcuno mi aiuti e invece ho trovato solo porte chiuse».

Nell'inferno la figlia ci è caduta quando aveva appena 14 anni e frequentava le scuole medie. L’epoca in cui perse il padre. «La sua sensibilità e fragilità non le hanno fatto reggere il dolore della morte» spiega oggi la madre. Da allora Grazia vive con il terrore che squilli il telefono. Prima era la scuola che chiamava per segnalare le continue assenze. Poi è stata la volta delle forze dell’ordine e del 118. Adesso pure i baristi quando si accascia su un tavolo, fatta e sfinita. «La prima volta mi chiamarono dall’ospedale, era in coma etilico: aveva appena 14 anni».

Da lì è stata una dannata discesa agli inferi: la figlia non ha più smesso di fare uso di alcol e droghe. E’ passata da una clinica privata all’altra, prima ad Ancora, poi a Bologna. Uscita è stata due anni in psicoterapia. «Ci stava riuscendo, poi il destino crudele ha fatto morire anche la sua dottoressa, ormai punto cardine della sua vita».

Ancora quel dolore, lancinante, che racconta la perdita di una persona cara. E una ricaduta pesante. «Un anno fa mi ha aggredito, spaccandomi testa e il padiglione auricolare: sono finita in ospedale con trenta giorni di prognosi. La denuncia è partita d’ufficio, e insieme ai numerosi interventi della polizia effettuati in casa mia, hanno fatto aprire il processo per maltrattamenti. Io, ovviamente, non mi sono costituita parte civile. Come fa una mamma, nonostante il dolore fisico, e soprattutto morale, ad andare contro la sua creatura?».

Grazia, oltre a non averla mai denunciata, non riesce nemmeno a reagire alle botte. A difenderla, come può, ci pensa il figlio trentenne. «Ha smesso anche di uscire la sera per paura di lasciarmi sola in casa con lei » racconta. Poi, tre mesi fa Sophia entra in comunità a Giovi. «Ero al settimo cielo. Finalmente era lontana dalla feccia che le gravita intorno». Ma niente, dopo tre settimana scappa e torna a casa. Alla sua vita di sempre, fatta di uscite, bevute, sniffate. «Dal tribunale mi dicono che dovrebbe iniziare i lavori socialmente utili e seguire un percorso con uno psicologo per riabilitarsi. Ma come è possibile? Lei è totalmente fuori di sé. Sembra una bambina di dieci anni, non si ricorda cosa fa durante il giorno. Non c’è più tempo, deve essere protetta».

Sophia esce la mattina, non avendo nessuna restrizione, e torna a casa il giorno dopo. Appena si regge in piedi, ubriaca e fatta. «Ogni tanto mi chiamano dal bar per andare a riprenderla... Vederla al tavolo, in attesa che qualcuno le paghi un’altra, l’ennesima, bevuta è uno strazio. E’ bella e in tanti se ne approfittano, credetemi». «Come lei tantissimi giovani e famiglie stanno vivendo il mio incubo anche ad Arezzo. Questa è una non vita». Grazia lo racconta con voce pacata, piena di dignità e lucidità. Sa perfettamente cosa sta succedendo ma è consapevole che non può salvarla da sola. «Sono ostaggio di questa situazione, non ricevo aiuti. Dal Comune nessuna risposta, le forze dell’ordine mi dicono che è maggiorenne e quindi può decidere di sè stessa. Sono disposta a tutto per salvarle la vita, ammesso che sia ancora possibile».