ATTILIO
Cronaca

"Alla Verna regna il volto terribile della natura". I grandi viaggiatori faccia a faccia con il monte

A inizio ’800 Forsyth a bocca aperta davanti all’intreccio di pietra e croci. Le tele di Hackert, il Sasso Spicco di Joergensen

A inizio ’800 Forsyth a bocca aperta davanti all’intreccio di pietra e croci. Le tele di Hackert, il Sasso Spicco di Joergensen

A inizio ’800 Forsyth a bocca aperta davanti all’intreccio di pietra e croci. Le tele di Hackert, il Sasso Spicco di Joergensen

Brilli

Fra Ottocento e Novecento il revival del misticismo francescano promosso dal pastore calvinista Paul Sabatier lancia a livello internazionale il nome ed il culto della Verna, strizzando l’occhio alla reazione antipositivistica dell’epoca. L’enorme successo del suo libro "La vie de St. François d’Assisi", 1893, faceva dei luoghi francescani dell’Italia centrale, e in particolare della Verna, la meta di pellegrinaggi di scrittori e artisti di tutto il mondo. In realtà c’erano stati ben prima di Sabatier viaggiatori e pittori che avevano ammirato con stupore il paesaggio scabro e silvestre ad un tempo del sacro monte. Il primo di questi viaggiatori è lo scozzese Joseph Forsyth, autore di uno dei più apprezzati libri di viaggio in Italia, il quale s’inerpica fino al santuario nel 1802, lasciando una testimonianza fra le più vibranti e sentite che si possa immaginare. "Qui regna il volto terribile della natura", esordisce Forsyth che sta discendendo gli scalini del Sasso Spicco, "una montagna rocciosa, una rovina degli elementi frantumati, dilaniati e ammassati in sublime confusione; precipizi coronati a sommo da boschi annosi, oscuri, d’incubo; nere fenditure nelle rocce dove la curiosità rabbrividisce alla sola idea di sporgersi, caverne spiritate cui le croci miracolose conferiscono rinnovata santità, lunghe scale scolpite nel sasso vivo che ti riportano alla luce del giorno". Dopo questo attacco, Forsyth ci presenta l’altro viaggiatore il quale, nel medesimo periodo sta effettuando una sosta protratta alla Verna.

"Questo santuario si trova ora a disposizione del pennello di Philip Hackert", afferma Forsyth, "un prussiano che un riflusso dell’arte ha condotto dalla terra dei Vandali a deliziare l’Italia con i suoi paesaggi". Pittore della corte napoletana per la quale ha dipinto le splendide vedute del Reame che ammiriamo oggi nella Reggia di Caserta, Hackert era fuggito dalla città partenopea dopo che i rivoluzionari del 1799 gli avevano bruciato lo studio e aveva trovato rifugio presso la Corte del Granduca di Toscana. Ad Hackert dobbiamo la raffigurazione di una Verna in gran parte perduta, una Verna priva di costruzioni, fatta di grotte e di anfratti, quale dovette conoscere Francesco nei suoi temporanei ritiri. Oggi le tele di Hackert dedicate alla Verna si trovano nel museo di Essen e in quello di Francoforte. Fra i viaggiatori che s’inerpicano sul sacro monte agli inizi del Novecento ci sono due personaggi che hanno lasciato affascinanti testimonianze scritte della loro esperienza. Il primo è il poeta danese Johann Joergensen, il secondo è la giornalista Beryl D. De Selincourt, autrice di un originale volume dedicato ai primi insediamenti francescani. Entrambi questi scrittori pellegrini ci restituiscono il sapore di luoghi non ancora diventati mete turistiche, ma venerati per la loro intrinseca, profonda sacralità. Con le foreste di faggi che ricoprono per intero il possente sperone del monte Penna, con le rocce frantumate, i botri, le grotte, le caverne, la Verna sembra voler comunicare il senso divino della natura.

Nel sacro monte dove Francesco ha sviluppato il proprio messaggio e il proprio insegnamento, si fondono i caratteri dell’eremo e quelli del convento. Della vita eremitica e quindi di meditazione, si esalta la familiarità di Francesco con la foresta, con i sentieri solitari, i tenebrosi ricetti, mentre della vita comunitaria sono testimonianza gli ambienti conventuali e la chiesa ampia e luminosa. Nell’intatto complesso naturalistico della Verna, il Sasso Spicco ha costituito la maggiore attrattiva per i visitatori. Già di per sè il nome di "sasso spaccato" designa uno dei luoghi della spiritualità francescana, infatti sembra che proprio qui, in questa forra ombrosa sovrastata da rocce periclitanti, Francesco abbia avuto la rivelazione secondo la quale la natura della Verna sarebbe il frutto di un cataclisma avvenuto al momento della morte di Cristo.

"I gradini dove posiamo i piedi sono sdrucciolevoli per l’acqua che sgocciola dal muschio che riveste come un manto verdastro la pietra", scrive Joergenson, "finalmente arriviamo in fondo all’abisso. Altissimi sopra le nostre teste si levano muraglioni di pietra e in fondo, sotto di noi, la gola s’incunea nella montagna. Stava dunque in questo luogo buio e profondo, Francesco! E più sotto ancora, all’entrata della gola, c’è la caverna dove dormiva". È in questi anfratti della Verna che Francesco fece l’intima conoscenza dei misteri della natura, delle sue leggi inflessibili, delle sue tentazioni, una natura che investì di un afflato intenso, devoto in quanto manifestazione del divino. Quella che un tempo era stata per i pagani la grotta votiva della grande madre, con tutta la sua carica simbolica e rituale, rivive nella topografia delle grotte e degli spechi della Verna come eletto luogo di santità.E sono questi i luoghi che il misticismo estetizzante di Sabatier e di Joergensen, o la laica curiosità della Selincourt, avvertirono come manifestazione di santità espressa attraverso il volto oscuro, tellurico di una sconvolta natura. Poco dopo Joergensen, nel 1905, visitava la Verna lo storico francese Ferdinand de Navenne il quale ci ha lasciato questa eloquente descrizione di sintesi: "La Verna doveva essere, nel tredicesimo secolo, così come appare ancora oggi, un monte e una foresta. La foresta passa fra una delle più belle d’Italia, il monte non ha forse uguali al mondo".