
Ospedale
Arezzo, 26 marzo 2019 - La conta della sanità. I numeri del personale sono decisamente sotto la quota dei bisogni. Variano le cifre ma su questo sia i sindacati che l’azienda convergono, nel quadro della vertenza aperta da qualche giorno. Ma poi ai numeri si incrociano realtà più complesse: perché se anche fossimo a pieno organico, un terzo del personale è quanto meno potenziale.
Non sempre assente, sia chiaro, ma all’interno di un bacino che rende l’organico effettivo decisamente scivoloso. Motivo? La somma delle malattie lunghe, delle maternità e dei dati vertiginosi della legge 104, quella che consente ai dipendenti (sanitari e non solo) di usufruire di tre giorni di assenza supplementare al mese. Il dato finora era rimasto sullo sfondo della vertenza aperta proprio sul piano del personale.
Una vertenza iniziata da qualche giorno, in un confronto serrato tra i sindacati e l’azienda. Partito prima dell’arrivo del nuovo direttore Antonio D’Urso: anche l’ultimo faccia a faccia ha preceduto, sia pur di poche ore, l’ingresso dell’erede di Enrico Desideri, che ha comunque già promesso che prenderà di petto la questione.
Ma fermiamoci ai dati forniti solo pochi giorni fa. «Un terzo del personale non è in servizio al 100%» è la sintesi che ne fa il Nursind, il sindacato autonomo degli infermieri, al tavolo con gli altri. Non solo: nei giorni scorsi erano stati Cgil, Cisl e Uil a indicare un tetto quotidiano di assenze per malattia intorno al 20%. Come dire che se anche fossimo a pieno organico, poi la realtà quotidiana del servizio sarebbe fatalmente diversa.
Da dove derivano questi dati? Il 18% dei dipendenti beneficia della legge 104: è la legge, a garanzia dei lavoratori e delle famiglie, che consente di usufruire di tre giorni di assenza al mese. Il 18% significa 1269 dipendenti sui 7200 dell’area vasta.
Scendendo solo nella zona aretina sarebbero circa 550: sì, perché in provincia di quei 7200 dipendenti ne gravitano 3011. Quasi la metà, a dimostrazione di quali siano i rapporti di forza. E questo escludendo i medici: il solo comparto, che va dagli infermieri agli operatori sociosanitari ai tecnici al personale amministrativo.
Ci sono poi 517 maternità attive, da sole il 7% dell’area vasta. Ancora: un 5% dei dipendenti ha contratti part time, pari in tutto a 355 persone. E infine ci sono le malattie superiori ai 90 giorni, un’ottantina circa. Manca il dato sulle assenze prolungate ma comunque inferiori ai 90 giorni. Sono tutti dati confermati da fonti aziendali: cioé effettivamente forniti al famoso tavolo delle trattative.
A divergere è la sintesi finale: il 31% non è del tutto operativo? Qualche correttivo ci vuole. Intanto non tutti coloro che godono della legge 104 ne usufruiscono e ne usufruiscono tutti i mesi. E poi ci sono gli incroci: perché ad esempio tra le donne in maternità una percentuale è anche tra chi ha diritto alla 104 o ha un regime contrattuale part time. Fin qui i numeri, che non consentono di andare oltre. Certo indicano una bussola.
La misura delle carenze va al di là del semplice organico. C’è da tenere conto anche delle assenze provvisorie e che pesano per diversi punti percentuali. E sullo sfondo ci sono le fughe verso la pensione. Per ora non vertiginose, anche se in aumento progressivo dopo che il decreto ha superato i paletti parlamentari.
La prospettiva su base annua si attesta sui 200 dipendenti: ed è un aumento di circa il 20% rispetto agli esodi tradizionali. Vuoti con i quali fare i conti. La campanella in corsia suona tutti i giorni: ma chi trova in classe?