
A 15 anni scriveva per Tutino, poi la febbre del palcoscenico. L’evento di punta dal Poggiolino a oggi
"A 15 anni, sul mensile di Saverio Tutino, scrivevo articoli strappalacrime sulla diga che distruggeva i nostri gorghi preferiti per pescare o fare il bagno, e su altri grandi drammi da ragazzo di provincia". Da oltre 25 anni, Andrea Merendelli, regista e autore teatrale, formatore e storyteller. È direttore artistico del Teatro di Anghiari, coautore e regista di Tovaglia a Quadri.
Merendelli, la provincia è un limite?
"Ho sempre cercato di capire se la periferia potesse avere un proprio baricentro. In realtà tuttora, un curriculum con ‘Parigi, Rius Sant’Onore’ pesa più di uno con ‘via Libia, Tavernelle di Anghiari’".
Mai barato?
"Mai. La provincia ha prodotto il meglio dell’Italia, da Pasolini in poi. La metropoli è necessaria per alcuni percorsi, ma la creatività nasce spesso in periferia". E lei, studente fuori sede, decide infatti di tornare ad Anghiari.
"Nel 1993, la folgorante visione de ‘I Giganti della Montagna’ di Leo De Berardinis al Teatro di Anghiari mi aprì gli occhi: il teatro vero era un mondo lontano dagli studi accademici. Fu la scintilla che mi spinse a tornare. Poi rientrò anche Paolo Pennacchini, e da lì iniziò a delinearsi la mia attività".
Chi l’ha influenzata di più nel suo percorso?
"Jean Claude Carrière. Nel ‘96, in una residenza alla Pergola, mi insegnò a semplificare la scrittura teatrale, eliminando inutili complicazioni. Una rivelazione".
E un’esperienza claustrofobica.
"Sì, in quel teatro una sera, la sorella di Raffaele Cutolo interpretava Filomena Marturano con Le Tossicomiche, davanti a un pubblico che includeva anche alcune detenute. Cecchini sui tetti, tensione alle stelle. Restammo bloccati dentro fino alla fine!". Anni alla guida di un teatro di provincia: fatica o soddisfazione?
"Economicamente è dura, ma la gratificazione di veder nascere spettacoli di successo è impagabile. Abbiamo reso Anghiari un riferimento culturale. Vorrei solo che le amministrazioni capissero che il teatro è un servizio pubblico".
Quando inizia la nuova stagione?
"Il 29 marzo con ‘Il canto sulla polvere’ di Alessandra Chieli. Il 28, anteprima con Gelindo Bordin, che racconterà la sua medaglia d’oro a Seul".
Lo spirito punk è sempre vivo?
"Sempre. Vivo in 55 metri quadri, ho una macchina scassata e non tollero gli intolleranti. Il punk è un’attitudine".
E "Clash to Me", cos’è stato? "Un omaggio al punk, la rivoluzione più inutile e più bella del Novecento. Questo spettacolo è un risarcimento a me stesso e a coloro che ho perso tra i 16 e i 25 anni. Uno spettacolo che connetteva me e il pubblico ai nostri sogni".
Il suo luogo del cuore?
"L’argine del Sovara, a Tavernelle di Anghiari. Lì ho avuto le intuizioni più importanti della mia vita".
Nella foto ricordo di Tovaglia a Quadri, chi c’è?
"Chi ci ha lasciato: Mario, Elmindo, Walter, Nello, la Lea e la Novella. Archetipi e fonte di ispirazione per me. E gli abitanti di Anghiari che rendono possibile tutta la macchina teatrale".
Come festeggerete i 30 anni? "In estate uscirà una pubblicazione celebrativa, con le foto di Giovanni Santi".
C’è già l’argomento dell’edizione di agosto?
"Per ora c’è solo un verbo: spiazzare".
A quali storie sta lavorando?
"A quelle dei giovani del nostro territorio durante la Seconda Guerra, come quella del centenario Gherardo Dindelli e dell’insurrezione di Sansepolcro nel ’44, per un progetto audiovisivo e di ricerca dal titolo ‘Unlock 80’. Nel film su Piero della Francesca, regia di Kollbach, a breve su Arte, racconterò del tenente inglese Clark, che evitò di bombardare Sansepolcro, perchè: ‘la Resurrezione’ di Piero era il dipinto più bello del mondo’".
Il sogno da realizzare?
"Un film. Il soggetto c’è, ma è top secret".