Arezzo,12 febbraio 2025 – In merito alla legge sul “suicidio assistito”, approvata ieri dal Consiglio regionale della Toscana, che vanta così un tristissimo primato fra le regioni italiane, i vescovi delle chiese toscane hanno già espresso, con una nota del 28 gennaio scorso, una ferma posizione critica, affermando, fra l’altro, che «La vita umana è un valore assoluto, tutelato anche dalla Costituzione: non c’è un “diritto di morire” ma il diritto di essere curati e il Sistema sanitario esiste per migliorare le condizioni della vita e non per dare la morte».
Ieri, dopo l’approvazione del progetto di legge da parte dell’assemblea regionale, è intervenuto il presidente della conferenza episcopale toscana, cardinale Paolo Augusto Lojudice, secondo il quale «sancire con una legge regionale il diritto alla morte non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti».
A queste voci, si aggiunge oggi il seguente intervento della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro con il suo vescovo Andrea Migliavacca e il responsabile diocesano per la pastorale della salute, insieme alla consulta diocesana di pastorale sanitaria, all’associazione Medici cattolici di Arezzo e all’opera Casa Betlemme: «Da poche ore è stata approvata da parte della Regione Toscana la legge regionale sul suicidio assistito: un fatto che ci ha lasciato sgomenti e addolorati.
La vita è un dono che va difeso e tutelato in tutte le sue condizioni. Siamo contrari ad alimentare una cultura dello scarto dove si stabilisce chi ha la dignità per vivere. Lo diciamo a nome di tanti medici, infermieri, operatori sanitari, volontari, membri di associazioni e di tante persone che sono in “prima linea”, che ogni giorno si impegnano a servizio di una vita che merita di essere vissuta pienamente in tutti i suoi momenti, anche quelli più difficili e di sofferenza.
La risposta di una comunità che accoglie non può essere quella di creare la solitudine del suicidio ma di rendersi capace di farsi prossimo in maniera concreta a chi vive il dolore nel corpo e nella mente. Dobbiamo tornare ad umanizzare la morte e al giusto accompagnamento attraverso la terapia palliativa oltre ad “ad una buona dose di amore”.
A tutti coloro che credono nel valore della vita e della centralità della persona chiediamo di non perdere coraggio: continuino, invece, ad essere testimoni di speranza con rinnovata passione ed entusiasmo. Nessuno si deve sentire abbandonato, perché solo così e senza altri artifizi, saremo in grado di dare dignità alle persone anche nel loro percorso finale di vita».