Due ore di requisitoria per trentotto pagine di accuse nei confronti degli undici imputati: per loro sono state chieste condanne fino a due anni, con sospensione della pena. Solo per uno di loro è arrivata la richiesta di assoluzione. Dopo quasi sette anni da quel maledetto 20 settembre 2019, il giorno della tragedia all’archivio di stato, sono arrivate le richieste di condanna scoccate dall’arco della pm Laura Taddei. Due ore in cui la pubblico ministero ha riassunto la serie concatenata di eventi legati al malfunzionamento dell’impianto che diventò una macchina della morte per chi trovava lì, quella mattina. Per Filippo e Bruno. Stavano lavorando.
Agli imputati a giudizio la procura contesta l’omicidio colposo per la morte di Filippo Bagni e Piero Bruni, asfissiati dall’argon mentre erano arrivati al lavoro per controllare un allarme, più una sfilza di reati accessori a seconda della loro posizione. A tutti sono state riconosciute le attenuanti generiche. Per l’allora direttore dell’archivio Claudio Saviotti, così come per la dirigente che l’aveva preceduto Antonella D’Agostino, la richiesta è stata di un anno e otto mesi. Stessa richiesta per l’allora capo dei vigili del fuoco Antonio Zumbo e gli imputati Andrea Pierdominici, Piero Sant’Antonio e Andrea Gori anche se per quest’ultimo, che è difeso dagli avvocati Tiberio ed Eugenio Baroni, è arrivata anche la contestuale richiesta di assoluzione per ideologico in certificati e per frode nelle pubbliche forniture. Un anno e dieci mesi la richiesta di pena per Monica Scirpa, Simone Morelli e Gianfranco Conti. Due anni per Maurizio Morelli, più otto mesi e una multa da 800 euro per un altro capo di imputazione che riguarda l’appalto dell’impianto. Più una richiesta di assoluzione per Alessio Vannaroni.
Nella ricostruzione dell’accusa i problemi sarebbero iniziati da un vetrino di separazione non originale e la valvola di sicurezza del gas montata al contrario. L’allarme sarebbe scattato alle 7.40 di mattina: e così per difetto del vetrino di rottura non originale e per un errore di programmazione del sistema viene rilasciato il gas mortale. E poi il secondo malfunzionamento. Nel seminterrato in cui sono conservate le bombole di argon, inodore ma letali, il gas esce verso lo stanzino non verso gli ambienti protetti al piano superiore. Questo per la valvola montata al contrario. Pero e Filippo sono lì a controllare che tutto sia apposto ma la raffica di gas li uccide entrambi. Uno muore sul posto, l’altro dopo qualche minuto. La procura contesta agli ex direttori di aver omesso la valutazione del pericolo per i dipendenti, di non aver informato loro dell’effetto letale dell’argon, né di aver organizzato corsi di formazione in materia che impedissero ai lavoratori di trovarsi nella situazione di pericolo. "Nemmeno noi ne eravamo a conoscenza", così si sono difesi i due ex direttori assistiti dall’avvocato Simone De Fraja e da Vincenza Saltarelli.
Il loro turno arriverà a marzo, quando sono in programma le arringhe dei difensori, mentre nell’udienza del 20 febbraio la parola spetterà agli avvocati di parte civile. Per la sentenza ci sarà da aspettare maggio ma tra i tanti legali che erano presenti alla vela c’è chi è fiducioso: "Arriverà anche prima". Un’accelerata sarebbe anche auspicabile: il procedimento a quasi 7 anni dai fatti non è ancora arrivato alla sentenza di primo grado. L’udienza preliminare arrivò due anni e tre mesi dopo e poi si aprì il processo . Da allora si sono susseguite più di venti udienze, in cui l’aula di tribunale è diventata teatro di una guerra di perizie,più di una decina. A trovare il bandolo della matassa tra tecnicismi e scarichi di responsabilità spetterà al giudice Giorgio Margheri.