GAIA PAPI
Cronaca

Arezzo, arrestato l’uomo della ’ndrangheta: arriva in città maxi inchiesta romana

In manette al Giotto Roberto Macori vicino all’estrema destra e collaboratore dei clan calabresi. Al centro della vicenda il riciclaggio di denaro sporco che avveniva tramite il traffico di benzina

Un’immagine d’archivio della Dia

Un’immagine d’archivio della Dia

Arezzo, 13 luglio 2024 – Una vera e propria centrale di riciclaggio a Roma al servizio dei clan. È quanto accertato dall’indagine della Direzione investigativa antimafia che ha portato al sequestro di beni per oltre 130 milioni, a 57 indagati e all’arresto di 18 persone per associazione per delinquere con aggravante mafiosa. Tra questi c’è anche il nome di Roberto Macori residente ormai da tempo ad Arezzo, in zona Giotto. A Roma, i pezzi di tre mafie "hanno maturato la capacità di integrarsi in maniera organizzata e strutturata con gruppi di criminalità autoctona" e Roberto Macori avrebbe un ruolo chiave in questo sistema. Vecchio amico di Massimo Carminati, boss della banda della Magliana, cresciuto sotto la sua ala, maturato nella destra eversiva romana e legato ai clan calabresi Morabito e Mancuso.

Macori, 50 anni, secondo i pm romani, ha un ruolo chiave nella gestione dei rapporti con la criminalità organizzata. "Maturato nell’estrema destra eversiva romana – è il profilo che ne fanno i magistrati – all’ombra di Massimo Carminati, è divenuto prima l’alter ego di Gennaro Mokbel per poi legarsi al Michele Senese". Una figura, quella di Macori, che ondeggia tra eversione nera e mafie. L’operazione parte dall’attività d’indagine avviata nel 2018 e coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma dalla quale è emersa l’esistenza di due gruppi criminali che riciclavano per vari clan, dai campani ai calabresi, ingenti somme di denaro in diversi settori, in particolare in quello degli idrocarburi e cinematografico. Venivano costituite società "fittizie" per emettere false fatturazioni grazie al supporto fornito da imprenditori e da liberi professionisti compiacenti. Il gruppo criminale smantellato dalla Dda e dal centro operativo della Dia di Roma, operava su tutto il territorio nazionale ed in particolare nel Veneto, nel Lazio, nella Capitale e nella zona di Pomezia ed in Campania, con un complesso scenario criminale a Roma e nel Lazio, con mafie tradizionali e malavita locale.

Le indagini scoprono che Macori diventa il referente dei calabresi: Morabito e Mancuso, Africo e Vibo Valentia, in un settore che il gip considera "l’attuale frontiera, come dimostrano numerose indagini, di tutte le principali associazioni mafiose italiane: il settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi all’interno delle cui dinamiche i clan napoletani hanno certamente un ruolo chiave con il sistema romano".